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Lorenzo, 41 anni con la Sindrome di Down: “Mi mancano lavoro e amici, ma io sto a casa”

Lorenzo è un uomo che ha sempre lottato nella vita per raggiungere traguardi che, agli occhi di molti, sembravano impossibili. Oggi Lorenzo ha raggiunto una autonomia professionale: lavora in ospedale a Loreto. “Mi manca il lavoro e mi mancano i miei amici – racconta -, ma dobbiamo restare a casa per aiutare i miei colleghi”.
A cura di Valeria Deste
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"Mi chiamo Lorenzo, ho 41 anni e vivo a Loreto con mia madre. In questi giorni terribili seguo la regola del Io sto in casa: è difficile e pesante, ma non c’è altro da fare. Spero tanto che tutto si risolva al più presto per poter tornare al lavoro”. Queste le parole del nostro amico Lorenzo, dipendente dell'ospedale di Loreto. Lorenzo nel nosocomio in provincia di Ancona è inquadrato come commesso: il suo compito è infatti quello di affiancare medici e infermieri, supportandoli nella consegna dei farmaci ai pazienti ricoverati e consegnando le ricette mediche necessarie a coloro che vengono dimessi. Da quando la pandemia è esplosa nel nostro Paese, Lorenzo è a casa dal lavoro in attesa di poter riprendere al propria quotidianità.

Sono chiamati ragazzi down, ma più che “andare giù” basta guardarli negli occhi per sentirsi aprire il cuore. Comunicano tenerezza, mai pena. Hanno sguardi intelligenti, non spenti. E fame di vita, di vita vera. Sono proprio queste persone che, quasi sempre, ci danno grandi insegnamenti perché abituati a lottare, sin dalla nascita, contro il pregiudizio. Ogni giorno si mettono in gioco nel tentativo di essere riconosciuti come persone capaci e autonome. Lorenzo è uno di loro e negli anni, grazie anche all’aiuto di mamma Antonella, non ha mai smesso di mettersi alla prova, riuscendo così a crearsi una propria professionalità lavorativa.

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Il lavoro in Pediatria a Viterbo

“Io sono nato a Soresina, un piccolo centro in provincia di Cremona – racconta -, ma ho vissuto a Viterbo per quasi 20 anni e qui è iniziata la mia esperienza di lavoro presso l’Ospedale della città e la mia avventura sportiva con Special Olympics”. Ora, Lorenzo vive a Loreto insieme alla mamma. “Ci siamo trasferiti qui da due anni per ricongiungere la famiglia dopo che papà è venuto a mancare e mia sorella si è sposata ed ha avuto figli”. Di certo una decisione non facile per chi, come Lorenzo trova il proprio equilibrio nella routine e nei punti fermi. “Ero spaventato anche all’idea di lasciare il lavoro presso l’Ospedale dove ormai tutti mi conoscevano e mi volevano bene: ero entrato nel 2000, in punta di piedi, per fare uno stage nel reparto di pediatria che è durato fino al 2011, anno in cui sono stato assunto a tempo indeterminato, in qualità di commesso, dopo aver partecipato e vinto un bando di concorso. Non ho mai cambiato reparto e sono potuto sempre stare in mezzo ai bambini. Stavo bene con loro e con i colleghi che mi circondavano di attenzioni ed affetto”.

I colleghi di Loreto

Ma anche all’ospedale di Loreto, Lorenzo ha trovato colleghi che lo fanno sentire a casa. Grazie anche alla sua capacità di amare e farsi amare. “Fortunatamente il tanto cercato e sospirato trasferimento presso l’Ospedale di Loreto si è rivelato una buona cosa, anche qui sono stato accolto benissimo e mi sono presto fatto amico di impiegati, medici ed infermieri. Ora che sono a casa, penso spesso a loro e li ringrazio ogni giorno per il lavoro che stanno facendo in ospedale. Lo fanno per noi, per permetterci, prima o poi, di tornare a uscire e a svolgere tutte le attività che abbiamo lasciato”.

Una vita da atleta

Lorenzo non smette mai di pensare anche ai suoi amici atleti, con i quali per anni ha condiviso gioie e traguardi. “Dopo l’esperienza Special Olympics di Viterbo, con la quale sono ancora in stretto contatto, anche a Loreto mi sono sempre allenato in piscina per essere pronto per le prossime gare, occasione per ritrovarci tutti insieme; anche qui andavo in palestra per tenermi tonico; anche qui andavo a scuola di ballo per divertirmi. Naturalmente, tutto ciò mi manca tanto. Non vedo l’ora di ritornare tra i miei amici, di ritornare a fare gare”. Ma Lorenzo sa bene che per tornare alla sua vita sociale è necessario fare ora uno sforzo. “Dobbiamo stare a casa. Se lo facciamo, i miei colleghi riusciranno a guarire tutte le persone malate e presto tutti noi potremo sentirci liberi di uscire”.

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