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Londra, Marco e la sua lettera d’addio all’Italia: “Ciao Sardegna mia, vorrei restare ma non posso”

Marco Muroni è un italiano emigrato a Londra come tantissimi suoi coetanei. A 33 anni ha deciso che il suo futuro non può essere in Italia e sul gruppo Facebook dedicato agli immigrati italiani nel Regno Unito ha scritto una lettera d’amore al suo Paese. “Mi mancherai molto… sappi che ti amo da morire”.
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Marco Muroni, in arte Jambé
Marco Muroni, in arte Jambé

Si parla spesso di immigrati stranieri in Italia, ma molto meno di immigrati italiani all'estero. Sapere di non poter costruire il proprio futuro a casa propria fa male, specialmente se ami la tua terra. L'Italia sta perdendo i suoi giovani, la sua forza economica, sociale, rivoluzionaria.

"Scappare dall’Italia non è stato facile anche questa volta. Lasciare la famiglia fa soffrire. Lasciare la mia Sardegna è malinconia pura. Non sentire più il profumo di mare e di campagne è una mancanza di ossigeno. Ma poi ti rendi conto che non si vive solo di bellezze e che devi pensare al futuro e a un buono stipendio con grandi opportunità", ha scritto sul gruppo Facebook dedicato agli immigrati italiani a Londra Marco Muroni, in arte Jambé. Ha 33 anni e in Inghilterra è riuscito a fare quello che voleva: lavorare nella ristorazione e coltivare la sua passione per la musica. "Sono un beatmaker e musicista. Qui sono riuscito anche a esibirmi in qualche live. In Inghilterra non hai paura di dover conoscere qualcuno per farti raccomandare. Se sei bravo hai la possibilità di dimostrare chi sei. Io sarei il primo a tornare in Italia, ma il sistema va cambiato totalmente".

"L'Italia, un Paese che non funziona"

"Vengo dall'isola Maddalena, al nord della Sardegna. Non riuscivo a lavorare in inverno e nel 2012 mi sono trasferito a Milano. Per tre anni ho lavorato lì, ma tornavo sempre a casa in estate. Lavoravo in un villaggio turistico come barista e nel 2017 ho conosciuto mia moglie. È argentina e insegnava il tango ai clienti. Finita la stagione sono tornato a Milano ma non trovavo un lavoro dignitoso. Ho lavorato in tantissimi posti ma pretendevano tante ore di lavoro sottopagate. Il 27 dicembre 2017 io e mia moglie ci siamo sposati, a gennaio 2018 siamo partiti per il Messico e siamo rimasti lì per tre mesi – racconta Marco a Fanpage.it e continua – A causa dei documenti non potevamo rimanere così siamo tornati in Europa, a Madrid. La situazione in Spagna, però, era simile a quella in Italia e dopo un mese e mezzo abbiamo deciso di partire di nuovo". Era l'ultimo tentativo. "Se va bene a Londra rimaniamo a Londra, se va male torniamo in Sardegna”, ha detto alla moglie.

A Londra è andata bene e ci sono rimasti per tre anni. "A giugno sono tornato in Sardegna con mia moglie dopo un anno e mezzo che non rivedevo la mia famiglia. Ho lasciato i miei datori di lavoro dicendo che sarei rimasto per tutta la stagione estiva e loro avevano paura che io non tornassi più. Per un anno e mezzo sono stato distante a causa del covid. Non volevo rischiare e per proteggere la mia famiglia ho deciso di stare lontano da loro. Ho resistito fino a Giugno, poi sono tornato", spiega. Dopo tanto tempo si è fermato a casa sua ed è tornato a lavorare come barista in un villaggio turistico per tutta l'estate. In Italia però, lui e sua moglie hanno capito che non potevano restare e pochi giorni fa hanno deciso di ritornare a Londra.

"Io abito alla Maddalena. Un’isola su un’isola. Un paese di 11 mila abitanti. Se vuoi sentirti in pace con la natura è perfetto. Ma se vuoi crescere ed essere più ambizioso, le possibilità sono limitate. Non mi sentivo più a mio agio perché ero abituato a stare fuori da una realtà così piccola. Ho provato la stessa sensazione anche a Roma, quando ho fatto lo scalo. Non parlo delle persone, ma dei servizi che offre l’Italia. Abituato a Londra dove tutto funziona e viaggia veloce, mi ha ferito trovare il mio Paese ancora in queste condizioni. Non funziona nemmeno Roma che è la capitale e che dovrebbe avere tutti i servizi funzionanti. Sono tornato dopo tre anni e mezzo e la situazione è sempre uguale – dice il 33enne italiano emigrato nel Regno Unito e aggiunge – Qui a Londra, pagano anche un minuto di straordinario. In Italia, invece, trovano qualsiasi pretesto per non farlo.  Sono ore della tua vita che regali a qualcuno gratis. A volte devi pregare per farti pagare l’ora in più e molti negano pure che l’hai fatta. Devi sempre adattarti a condizioni di lavoro che non ti soddisfano. Magari lavori 14 ore e te ne pagano 9. Trasferirmi in qualsiasi città italiana sarebbe stato lo stesso. Ho lavorato in molti posti e ho sempre lottato per avere quello che meritavo. In tanti casi venivo anche sottopagato".

Gli Italiani a Londra

"Sono rimasto incantato dalle mille culture diverse presenti in città. Dopo aver scaricato un’applicazione, ho trovato lavoro in 5 giorni. Inizialmente ho lavorato in una pizzeria gestita da Italiani. Purtroppo però, sono scappato dopo un mese. Siccome ero l’ultimo arrivato mi facevano lavorare di più. Hanno visto che dovevo ancora sistemarmi e che ero ancora alla ricerca di una casa, quindi se ne approfittavano. Ho pubblicato la mia esperienza sul gruppo Facebook e mi hanno consigliato di non lavorare mai più con gli italiani. Fortunatamente non siamo tutti così", racconta Marco Muroni.

Le esperienze di vita all'estero sono per tutti soggettive, ma alcune difficoltà sembrano essere condivise da molti immigrati provenienti da qualsiasi parte del mondo emigrati in qualsiasi parte del mondo. "Ho notato che molti italiani fanno fatica a integrarsi. A Londra ci sono tantissime culture da scoprire e molti si auto ghettizzano. Stanno tra di loro senza conoscere persone diverse. Molti si portano dietro il pregiudizio che c’è in Italia nei confronti degli stranieri. Io non l’ho mai avuto – racconta Marco che parlando della sua esperienza personale aggiunge – A parte il mio attuale titolare e alcuni conoscenti, non ho amici italiani qui a Londra. A scuola non ero una cima in inglese, ma dopo qualche mese qui, sono migliorato. Dopo la prima esperienza in pizzeria, ho trovato lavoro in una caffetteria francese. Stava per chiudere quando il mio supervisor australiano mi ha chiesto di andare a lavorare con lui in un ristorante italiano di pasta fresca che avrebbe aperto a breve. Sono tre soci: lui, il mio amico italiano e un inglese. Quando a giugno sono andato dalla mia famiglia in Italia non sapevano cosa avrei fatto e mi hanno detto che se fossi tornato a Londra avrei trovato ancora il mio lavoro. Sanno che sono legato alla mia famiglia e alla mia terra, ma non potevo restare a casa mia".

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