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L’omicidio di Sofia Stefani e la “freddezza non comune” di Gualandi: perché la sua versione non regge

Di quanto accaduto il 16 maggio nell’ufficio del comando della polizia locale di Anzola Emilia nessuno può aggiungere elementi: non c’erano altre persone oltre la vittima, l’ex vigilessa Sofia Stefani, e l’indagato Giampiero Gualandi. Ma sulla base degli atti a disposizione il Gip mette in fila una sua ricostruzione di quanto accaduto.
A cura di Susanna Picone
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A sinistra, l'ex vigilessa Sofia Stefani, 33 anni
A sinistra, l'ex vigilessa Sofia Stefani, 33 anni

"Aveva in mente l’omicidio" Giampiero Gualandi e poi, consapevole di quanto fatto, ha cercato di "simulare una tragica fatalità". Quando il 16 maggio l’ex vigilessa Sofia Stefani arriva al comando della polizia locale di Anzola, lei e l’ex comandante Gualandi si chiudono in stanza e lui ha "già in mente l’omicidio", ha ricostruito il Gip di Bologna Domenico Truppa, che una settimana fa ha disposto il carcere per l’uomo.

Di quanto accaduto il 16 maggio nell'ufficio del comando della polizia locale di Anzola Emilia nessuno può aggiungere elementi: non c’erano altre persone oltre la vittima, l’ex vigilessa Sofia Stefani, e l’indagato Giampiero Gualandi. Ma sulla base degli atti a disposizione, il Gip, motivando la custodia cautelare in carcere per l'indagato per omicidio volontario aggravato, mette in fila una sua ricostruzione di quanto accaduto.

La versione di Gualandi (che non convince)

La ricostruzione del giudice viene fatta "sulla base degli atti a disposizione" di quanto avvenuto il 16 maggio scorso. La versione dell’incidente sostenuta dall’indagato non regge: quel giorno, infatti, Gualandi sapeva bene che stava per arrivare in ufficio anche Stefani. Avrebbe quindi ritirato l'arma dall'armeria e recuperato la scatola per la pulizia poi ritrovata sulla scrivania per predisporre una linea di difesa sul motivo della presenza della pistola.

Nell’interrogatorio Gualandi avrebbe sostenuto che lei lo avrebbe aggredito con un ombrello, lui allora avrebbe preso la pistola "per evitare situazioni pericolose". Sofia Stefani si sarebbe avventata verso la sua mano e dall'arma sarebbe partito il colpo.

La ricostruzione del GIP: la discussione tra Stefani e Gualandi e l'omicidio

Il Gip descrive Gualandi come una persona "esasperata", che quel giorno impugna la pistola e spara contro la donna con cui aveva avuto una relazione sentimentale. E che poi, dopo aver ammazzato la giovane donna, avrebbe tentato di similare un incidente. Tra i due, secondo la ricostruzione, quel giorno ad Anzola ci sarebbe stata una discussione, con Sofia Stefani che avrebbe voluto continuare il rapporto con l’ex comandante. Era lei, secondo quanto emerso finora, a non voler rompere con Gualandi, lui invece era "logorato" dalla presenza dell’ex vigilessa.

L'arrivo di Gualandi in tribunale
L'arrivo di Gualandi in tribunale

Il giudice evidenzia una "una spiccata pericolosità sociale" e il rischio di reiterazione del reato da parte dell'indagato. "L'utilizzo dell'arma a fronte di soggetto che risultava disarmato esprime una particolare mancanza di controllo e di consapevolezza dell'assoluta incongruità della propria condotta", scrive infatti il Gip. Si parla anche di "inquietanti modalità esecutive dell'azione criminosa", che denotano "non comune freddezza e disarmante facilità di ricorso all'uso di arma con effetto letale".

Elementi che non lasciano dubbi sulla sussistenza del concreto ed attuale pericolo di reiterazione di fatti. Si sottolineano anche tutte le incongruenze e gli elementi di debolezza della versione difensiva, su un fatto accidentale.

Poi ci sono i messaggi che Giampiero Gualandi e Sofia Stefani si erano scambiati prima della morte dell’ex vigilessa. Uno scambio significativo di messaggi in cui era evidente che "egli era, in realtà, una persona logorata dalla presenza nella sua vita" della ragazza.

Secondo il giudice i messaggi dell’indagato sono inequivoci. Alla donna scriveva di sentirsi esaurito, esausto, di non sopportare la pressione, di non dormire né mangiare. Il giorno dell'omicidio gli arrivarono quindici chiamate dalla giovane donna uccisa ad Anzola. E in questo contesto di "tensione" che è avvenuto quel giorno l’incontro tra i due in ufficio.

Un incontro che si è presto trasformato in una discussione "all'interno della quale è ragionevole ritenere che l'uomo abbia impugnato la pistola e premuto il grilletto, per chiudere definitivamente i conti con una persona che lo ossessionava da alcuni mesi in maniera incessante".

La difesa dell'ex comandante, con l'avvocato Claudio Benenati, è pronta a depositare il ricorso al Riesame.

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