Anna Esposito è una bella donna di 35 anni, mediterranea, solare, volitiva. Originaria di Cava de Tirreni (Salerno), è mamma di due bambine, avute dall'ex marito, con il quale mantiene un rapporto cordiale. È una dirigente della Digos di Potenza, ha ottenuto l'incarico alla soglia dei 30 anni, bruciando le tappe. Fa la spola tra Cava e Potenza, dove alloggia all'ultimo piano della caserma Zaccagnino. La sera dell'11 marzo 2001 torna nel suo appartamento dopo aver passato la domenica con le figlie, i genitori e l'ex marito. Alle 19 e 40 telefona a mamma Olimpia per assicurarla di essere arrivata a Potenza. In serata, racconta alla madre, è attesa a una festa a Matera. Sul tavolo del soggiorno stende dei vestiti neri: un tailleur, un abito scollato, un paio di collant, evidentemente vuole scegliere il più adatto alla serata. Quello che succede tra le 20 e le 9 del giorno dopo entra nelle pagine di quei gialli lucani mai risolti, un groviglio di incongruenze, segreti e omissioni che cominciano l'indomani.
Il suicidio
La mattina del 12 marzo quattro colleghi della Esposito, preoccupati per il suo ritardo al lavoro – sono solo le 9 – e per non essere riusciti a mettersi in contatto telefonico con lei, fanno quello che chiunque farebbe: fanno irruzione in casa sua forzando la porta con un cacciavite. Entrano, cioè, senza un mandato, senza aver allertato il questore, senza aver cercato notizie di Anna presso parenti o amici, nella sua abitazione. Erano allarmati, diranno, e avevano ragione ad esserlo, perché Anna giace sul pavimento del corridoio senza vita. Quaranta minuti dopo viene avvertito il questore e l'appartamento si riempie di poliziotti, alcuni sono lì per i rilievi, altri perché conoscevano Anna. In quel trambusto nessuno si preoccupa di preservare la scena della tragedia.
Com'è morta Anna? È l'Ansa a rispondere a questa domanda ancora prima che venga eseguito l'esame autoptico, con un'agenzia lanciata nelle tarde ore del pomeriggio:
SUICIDA DIRIGENTE DIGOS QUESTURA DI POTENZA
Segreti e sospetti
I colleghi di Anna l'hanno trovata semiseduta sul pavimento, i pugni serrati, vestita con un jeans, una T-shirt e gli stivaletti. Attorno al collo, come dichiarato dai testimoni agli inquirenti, avrebbe avuto il cinturone della divisa, una cinghia larga quattro centimetri – dalla quale non viene prelevato nessun DNA – che avrebbe usato per come cappio per impiccarsi alla maniglia della porta. Una modalità usata spesso dai detenuti per togliersi la vita e che dunque è compatibile con la ricostruzione dei testimoni, salvo che per un particolare rilevato dai consulenti della famiglia Esposito, i medici legali Antonello Crisci e Pasquale Giugliano: l'osso cricoide è spezzato. Si tratta di un osso di piccolissime proporzioni che si trova dietro la cartilagine tiroidea e che difficilmente si sarebbe potuto fratturare in quella dinamica, ma che si sarebbe sicuramente rotto se Anna fosse stata afferrata alle spalle e strangolata da un altra persona. C'è ancora un altro particolare che non torna. Al magistrato intervenuto sul posto, uno dei colleghi di Anna dichiara di averla liberata dal cappio nel tentativo di salvarla. Essendo morta dalle 22 della sera precedente, come la successiva autopsia eseguita dall'anatomopatologo, Luigi Strada e dal medico legale, Rocco Maglietta, dimostrerà, Anna era già fredda e rigida: perché alterare lo stato della scena liberandola, senza sapere cosa fosse successo?
Il prete
La Procura apre un fascicolo per istigazione al suicidio, ma dopo appena 10 mesi il pm Claudia De Luca, chiede l’archiviazione. I genitori di Anna, però, sono fermamente convinti che la figlia sia stata uccisa. Suo padre Vincenzo riceve la visita del cappellano del carcere, Pierluigi Vignola, che dopo aver testimoniato spontaneamente di aver ricevuto in confessione da Anna la confidenza di aver già tentato il suicidio, esorta però il padre a presentare un esposto anonimo che faccia riaprire il caso, si offre addirittura di scriverne una bozza. Insospettito dal cambiamento di posizione del sacerdote, Esposito registra l'incontro nel quale emerge l'ipotesi di un complotto in questura, avvalorata anche da una circostanza: sulla scena del crimine, dai diari che Anna curava fedelmente per il lavoro e la vita privata, sono sparite delle pagine, mai più ritrovate. Chi le ha prese e per nascondere cosa? Don Vignola viene convocato dagli inquirenti ai quali si rifiuta, però, di riferire dell'incontro con Vincenzo Esposito, trincerandosi – questa volta – dietro il segreto della confessione, che secondo lui sarebbe avvenuta in quel contesto. Esposito non si arrende: nel 2011 presenta una memoria in cui elenca punto per punto tutte le incongruenze del caso, avanzando il sospetto che possa trattarsi di un delitto passionale. L'inchiesta viene riaperta e una persona finisce nel registro dell'indagati: si tratta di Luigi Di Lauro, giornalista Rai ed ex fidanzato della Esposito. Con il giornalista potentino sembra che la frequentazione non fosse finita e che l'uomo continuasse a visitare l'appartamento della caserma Zaccagnini, anche di notte.
Elisa e Anna
Se di delitto si tratta, quello di Anna Esposito può avere più moventi. Si può escludere che la dirigente sia stata uccisa per una delle inchieste che stava conducendo? In una intervista alla trasmissione ‘Chi l'ha visto?' Don Marcello Cozzi di Libera racconta una circostanza singolare. All'indomani del duplice omicidio di Pinuccio Gianfredi e Patrizia Santarsiero, avvenuto a Potenza il 29 aprile ‘97, Anna convoca nel suo ufficio un vicino di casa della vittima mostrandogli alcune foto di personaggi legati alla malavita, ma anche di politici e notabili di Potenza. Per capire quanto anomala fosse questa indagine per il capo della Digos è necessario fare un passo indietro. Gianfredi era un personaggio di spicco della malavita locale, aveva accumulato un piccolo capitale prestando i soldi con interessi criminali. Non solo, Gianfredi sarebbe stato al soldo di quel comitato politico-affaristico legato alla massoneria di cui l'inchiesta Toghe lucane – conclusa con l'archiviazione – ipotizzava l'esistenza e che avrebbe deciso a Potenza nomine e appalti. Secondo una pista investigativa dell'epoca, Gianfredi sarebbe stato coinvolto anche nell'occultamento del corpo di Elisa Claps, sparita a 15 anni il 12 settembre 1993 dalla chiesa potentina della Santissima Trinità, dove vice parroco era all'epoca lo stesso Don Vignola che testimonierà sul suicidio di Anna. Perché, dunque, la dirigente della Digos aveva indagato sull'omicidio Gianfredi-Santarsiero? Aveva scoperto qualcosa? Si potrebbe supporre di sì, visto che lo stesso 12 marzo in cui è stata trovata morta Anna aveva un appuntamento con Gildo Claps, fratello di Elisa. È Olimpia Magliano, la mamma di Anna, a ricordare un particolare significativo. La figlia le avrebbe confidato che in questura qualcuno sapeva dove era nascosto il corpo di Elisa. Era questo, come scrive il giornalista, Fabio Amendolara nel suo libro dedicato al caso Esposito, il ‘segreto di Anna'?
L'epilogo
Nel 2010 nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità a Potenza viene trovato il corpo di Elisa Claps: era lì da 17 anni. L'8 novembre 2011, Danilo Restivo viene condannato a 30 anni per l'omicidio della quindicenne. Quattro anni dopo la superperizia disposta dalla Procura sul corpo di Anna Esposito ed eseguita da Francesco Introna – lo stesso che negò la presenza del DNA di Restivo sui resti di Elisa – ribadisce ancora una volta: suicidio. Di Lauro viene scagionato e le indagini archiviate. Dopo 16 anni la famiglia di Anna continua a credere che sia stata uccisa.