Lo storico Ilan Pappé a Fanpage: “Il problema non è Netanyahu, ma la natura dello Stato di Israele”
Ilan Pappé si trova in Italia per promuovere il suo ultimo libro Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina. Dal 1882 a oggi (Fazi Editore), e ad annunciare l'uscita del prossimo La fine di Israele. Lo storico, oggi professore di Storia all’Istituto di studi arabi e islamici e direttore del Centro europeo per gli studi sulla Palestina presso l’Università di Exeter, da diversi anni rappresenta una delle voci critiche più importanti sulla società israeliana. Ospite degli studi di Fanpage.it, abbiamo discusso del conflitto in corso a Gaza.
Ha appena scritto un libro che ripercorre la storia dell’insediamento sionista in Palestina e la successiva nascita dello stato di Israele con i conflitti che lo hanno accompagnato. In queste ore Israele prova a ridisegnare i confini e gli equilibri dell’intero Medio Oriente. Era un finale inevitabile o questa guerra è frutto dell’affermazione di una destra messianica e suprematista?
Io penso che il conflitto fosse inevitabile. L'idea stessa di insediare uno stato ebraico e occidentale nel cuore del mondo arabo, che impone se stesso con la su milioni di palestinesi contro il loro volere, porta con sé un conflitto inevitabile. Questo è il progetto sionista fin dal principio e oggi il problema non è cambiato. Quello che è cambiato è per certi versi il metodo con cui Israele costruisce se stesso, e i modi con cui la società palestinese si oppone, ma possiamo purtroppo dire che ci troviamo sempre all'interno dello stesso capitolo storico. Questo progetto non funziona, a meno che non si usi molta forza e, quando la forza non è abbastanza, se ne usi di più… Sfortunatamente nessuno, in questo momento, sta offrendo a israeliani e palestinesi uno scenario per avanzare verso un futuro diverso. Quindi penso che il fatto che un governo di destra sia al potere in Israele dal novembre 2022 rende più difficile trovare una soluzione, ma il problema di fondo è la pretesa di fondare e mantenere con la violenza uno stato ebraico in Palestina.
A Roma nei prossimi giorni si terrà una manifestazione di solidarietà con la Palestina che sta facendo molto discutere. Tra le altre cose i promotori sostengono che ‘ogni israeliano è un colono’, non la preoccupa questo clima? La logica di guerra porta alla reciproca disumanizzazione?
Israele è, ancora oggi, un progetto colonialista. Ciò non significa che demonizziamo tutti gli ebrei israeliani, ma si affermandolo stiamo solo dicendo che la natura del regime è tale che, finché continua, ci sono pochissime speranze di porre fine all'oppressione dei palestinesi. Quindi non penso che questo sia deumanizzare gli israeliani. Io penso che, per la prima volta, si stia esprimendo chiaramente che cosa rappresenta lo Stato israeliano. Molti europei hanno frainteso l’intero progetto sionista. Alcuni di loro pensavano che fosse un sogno socialista, ed ecco perché i comunisti in Italia lo hanno sostenuto, altri pensavano che fosse l’unica democrazia liberale del Medio Oriente, ed è per questo che lo hanno sostenuto i partiti liberali e conservatori in Italia e in Europa ma non hanno mai voluto recepire la vera natura di questa ideologia. L'idea che si prende con la forza il paese di qualcun altro, e se non lo si controlla con l’oppressione, l’occupazione, la colonizzazione, la pulizia etnica in West Bank, si arriva anche al genocidio per farlo. Quindi penso che i manifestanti abbiano ragione nel dire che il problema non è Netanyahu, non è la politica di Israele, ma è la natura stessa, l'ideologia del regime israeliano il problema.
Lei pensa che nei piani del governo Netanyahu, ci sia la volontà di estendere i confini dello Stato di Israele a quella che era l’Israele biblica?
Questo governo rappresenta una versione molto fanatica del sionismo. Potete chiamarli neo-sionisti. E sì, penso che credano di avere un momento storico favorevole per estendere i confini di Israele, ma soprattutto per sbarazzarsi di molti palestinesi, per assicurarsi quello che chiamano Grande Israele, ovvero uno stato a stragrande maggioranza ebraica esteso anche alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza. Anzi, pensano addirittura che questa sia l’ultima occasione per farlo, ed è per questo che sono molto preoccupato, perché saranno sempre più brutali.
Stiamo affrontando una guerra che sembra non avere soluzione. Come è possibile non perdere la speranza?
Nel breve termine, non credo che ci sia molto che possiamo fare o ci sia molto da sperare. Ma credo che, a lungo termine, ci siano alcune indicazioni positive per superare l'idea secondo cui Israele deve essere uno stato ebraico ed etnico razzista. altrimenti non esisterebbe più alcuna possibilità di esistere per gli ebrei né nella Palestina storica né nel mondo. Penso che se i giovani riprendessero costruissero una leadership in maniera unitaria, in modo rappresentativo, in modo democratico, potrebbero offrire una nuova strada per tutti noi. Io penso che, a lungo termine, la Palestina storica vada restituita al mondo arabo. Israele così com'è, nonostante l'enorme sostegno che riceve dall'Occidente, non potrà sopravvivere in eterno.
Arriviamo allora al suo prossimo libro, che uscirà in Italia a breve che è intitolato La fine di Israele?…
Se vuoi che lo stato di Israele così com'è cessi di esistere, quando se ne hai paura, devi discuterne perché è una prospettiva realistica! Lo stato ebraico appartiene ad un’area cui l’idea europea di uno Stato nazionale non funziona. Non funziona, e non solo in Israele e Palestina. Quindi penso che questo sia un discorso importante da affrontare prima che sia troppo tardi, prima di altra violenza e altri lutti. Quindi suggerisco in questo libro che l’idea di sostituire oggi Israele con uno Stato democratico è un’idea molto positiva, moralmente valida, ma anche pratica perché ha un modello storico che già esisteva in Palestina, ed è un modello basato sul principio dell'uguaglianza e può essere condiviso da molti palestinesi che possono influenzare positivamente la società israeliana. Qual è l'agenda di oggi? La soluzione dei due Stati? Questo è ciò che vogliono l'Europa e l'America, ma non è realistico. Quindi dobbiamo pensare fuori dagli schemi, dobbiamo pensare diversamente. Non sto dicendo di essere un profeta, di sapere che accadrà, ma temo che stiamo andando in quella direzione, e questo potrebbe essere molto pericoloso e disastroso, o potrebbe essere un’opportunità per costruire qualcosa di meglio.