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Lo sfogo di Lorena: “Ho l’Amiotrofia spinale e tre lauree, ma mi hanno messo in un angolo”

Nonostante molti anni di duro studio, Lorena non è riuscita mai a lavorare neppure un giorno. Per lei solo porte chiuse e colloqui saltati a causa della sua disabilità. Questa è l’integrazione che un Paese che si vuole civile come l’Italia riserva alle persone diversamente abili? La protagonista di questa brutta vicenda ha scritto a Fanpage.
A cura di Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo:

Mi chiamo Lorena Liberatore, sono una donna disabile affetta da Amiotrofia spinale, nata a Bari e residente a Cassano delle Murge (BA). Ho una laurea Triennale in Lettere, una Magistrale in Scienze dello Spettacolo e della Produzione Multimediale, e anche una Magistrale in Filologia Moderna, sempre con il massimo dei voti e la lode.

Nel 2010 provai il Concorso di dottorato in Scienze Letterarie, Linguistiche e Artistiche presso l’Ateneo barese ma non lo superai per un solo punto. All’epoca mi fu detto da alcune persone, tra cui qualche mio ex professore, di non tentare il dottorato a Bari poiché era “più difficile accedervi”. Con onestà risposi che non potevo fare un dottorato lontano da Bari, poiché avrei dovuto trascinare altrove la mia famiglia e tanto meno avrei potuto cercare il mio futuro lavorativo all’estero, come tanti miei compagni di corso.

Mi fu detto anche di dedicare le mie energie a qualcosa di più “duraturo”. Scelsi così l’insegnamento. Mi sono laureata, per l’ultima volta, a luglio del 2014  e mi sono subito inscritta nelle Graduatorie di Circolo e d’Istituto.
In entrambi i casi ho chiesto di poter lavorare a Cassano e nelle zone limitrofe come Bari, Santeramo o Acquaviva. Ma non mi sono limitata a questo e come tanti miei coetanei ho cercato altro e ho spedito, ovunque e il più possibile, curriculum vitae, candidature spontanee, proposte per PON e domande di messa a disposizione volontaria. Il tutto senza alcun risultato.
Contemporaneamente ho portato avanti la ricerca di un mezzo di trasporto o “taxi per disabili” che potesse accompagnarmi a lavoro nel momento in cui ne avrei finalmente trovato uno. Scoprii ben presto di non poter pagare da sola un simile mezzo: mi veniva puntualmente chiesto dai 40 agli 80 euro al giorno per percorrere pochi chilometri (tale taxi diventa a carico dell’utente nel momento in cui esce dall’ambito del Comune d’appartenenza).

Scrissi una lettera indirizzata al Presidente della Regione Puglia e al Sindaco di Bari, chiedevo loro di permettermi di poter usufruire del mezzo di trasporto per disabili di cui dispone Bari (ma come domiciliata a Bari, presso alcuni parenti e solo in alcuni periodi dell’anno) e nel caso in cui avessi lì trovato un’occasione lavorativa. Ero disposta a pagare quel taxi nella misura delle mie possibilità, ma non ho mai ottenuto neanche una risposta. Fortunatamente, un’altra mia lettera ha ottenuto un riscontro favorevole, infatti il Sindaco di Cassano si è mostrato molto sensibile al mio problema. Presto sarà disponibile il mezzo… ma il lavoro non c’è.
Fino ad ora non ho mai insegnato/lavorato neanche per un giorno. Aggiungo che sono regolarmente iscritta nell’elenco dei lavoratori disabili (del collocamento obbligatorio), anch’esso si è dimostrato totalmente inutile.
Ho dato la mia disponibilità a tutte le convocazioni per supplenze ricevute e anche ai progetti “Diritti a Scuola”, e in due o tre casi è sembrato che le probabilità d’ottenere la nomina fossero alte, ma all’ultimo momento ha dato disponibilità una persona con un punteggio più alto del mio, con un posto più alto in graduatoria e, di conseguenza, un considerevole vantaggio al fine della supplenza. Tutto normale e corretto, le nomine funzionano esattamente così, ma intanto dal 2014 non ho fatto neanche una supplenza. Che strano, devo essere davvero molto sfortunata.
Mi chiedo, come posso accumulare ore di lavoro se puntualmente non riesco a lavorare? Come posso lavorare se non mi vengono date le possibilità per farlo? Mi rendo conto che tale “sistema” va a svantaggio di chi è più debole.
Tutto questo accade perché non esistono realmente le categorie protette: in quanto “diversamente abile” non posso chiedere di lavorare presso le scuole di Cassano (dove usufruirei di un piccolo mezzo di trasporto comunale già disponibile e che non dovrei neanche pagare). Solo se accedessi alla I fascia avrei “voce in capitolo”; ma prima di ciò dovrei anche superare il TFA per l’abilitazione e un eventuale “Concorsone”. Conosco poche persone che, ancora giovani, sono riuscite ad accedere in I fascia. Ci è riuscita da poco una mia amica, a 55 anni. Dovrei attendere tanto per far valere i miei diritti e sentirmi realizzata?
È stato un fallimento (o meglio, una vera e propria delusione) anche la famosa la Legge n. 68 del 12 marzo 1999. Quello che sommariamente si conosce di questa legge è che avrebbe come finalità “la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”, e a tal riguardo afferma che “I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle cosiddette categorie “protette” nella seguente misura: 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti”.
Queste direttive al momento non hanno più nessuna validità reale: inviare il proprio curriculum vitae ad un ente/azienda, pubblico/a o privato/a che sia, menzionando la Legge n. 68 del 1999 equivale esattamente a spedire una normale candidatura spontanea che verrà o archiviata (nella migliore delle ipotesi) o ignorata.
Al riguardo, qualcuno mi ha detto che avrei dovuto contattare un Ispettore del Lavoro e far controllare le aziende che mi hanno dato risposta negativa: naturalmente, una persona portatrice di handicap che crede che una o più aziende abbiano deliberatamente dichiarato il falso può denunciarle e contattare l’Ispettorato del Lavoro. Ma si tratterebbe di indire una denuncia per ogni singola azienda, e ammesso che tale accusa appaia fondata e venga dimostrata, non garantisce in nessun caso che in seguito l’azienda in questione si metta in regola assumendo proprio chi l’ha denunciata… questo è quanto ho potuto verificare consultando diversi Patronati.
Attualmente avrò forse spedito un centinaio di mail citando la suddetta legge, e probabilmente qualcuno può avermi detto il falso (rifiutando la mia richiesta di lavoro). Chi dovrei denunciare e in base a quali criteri? Tutte le aziende contattate? È inverosimile, impossibile anche solo immaginarlo.
Vorrei costruirmi una mia vita, avere un lavoro, sentirmi realizzata professionalmente, eppure ogni mio tentativo cade nel vuoto. Mi rendo conto che i tempi in cui viviamo sono difficili per tutti, quindi perché per me non dovrebbe esserlo di più? Eppure mi sembra assurdo dover affrontare ancora problemi e ostacoli nonostante tutti quelli che ho dovuto superare fino a ora… C’è mai fine a tutto ciò?
Mi sento discriminata in quanto persona diversamente abile. A riprova di quanto detto, cito l’ultimo episodio accadutomi nelle ultime settimane: in seguito all'invio del mio curriculum vitae mi ha contattata, su cellulare, la sede di Bari di un'importante libreria (il suo nome ora è secondario), mi chiedeva di presentarmi la mattina seguente per un colloquio di lavoro. Diedi la mia disponibilità a presentarmi al colloquio ma spiegai anche che non potevo prenotare un mezzo o trovare qualcuno che mi accompagnasse entro 24 ore… improvvisamente la possibilità di fare quel colloquio è svanita! E non è la prima volta che accade! La scorsa volta è successo con una scuola privata. Le scuole private hanno spesso strutture non accessibili e non appena vengono a conoscenza della mia “sedia a rotelle” mi liquidano, anche in maniera anche poco gentile…
Se il pregiudizio di queste persone è dettato dalla paura che la mia patologia sia eccessivamente “invalidante”, con un banale colloquio avrebbero scoperto che, al di là della mia sedia, sono abbastanza autonoma e non mi serve aiuto.
Mi sento svantaggiata e me ne rendo conto: spesso vengo percepita come un “ingombro”, una “responsabilità”, mai una risorsa.
Per quanto so che come insegnante potrei dare tanto, oramai chiedo solo di poter lavorare e pagarmi una vita autonoma e indipendente. Oggi si parla molto di “assistenzialismo”, di voler integrare i cosiddetti “disabili” perché siano una vera risorsa e non pesino sullo Stato… eppure non mi sembra che ci si stia muovendo in questa direzione.

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