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“Lo deridevano, gli dicevano che non aveva una donna”. Poliziotto suicida dopo le umiliazioni dei colleghi

La Procura di Bari ha riaperto un’inchiesta sulla morte di Umberto Paolillo, l’agente di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Turi che si è tolto la vita nell’abitacolo della sua auto la notte del 18 febbraio 2021, sparatosi con la pistola d’ordinanza.
A cura di Davide Falcioni
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La Procura di Bari ha deciso di disporre nuove indagini per fare luce sulla morte di Umberto Paolillo, l’agente di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Turi che si è tolto la vita nell'abitacolo della sua auto la notte del 18 febbraio 2021, sparatosi con la pistola d’ordinanza. Gli accertamenti dovranno essere effettuati "entro 90 giorni" e saranno finalizzati a verificare se l'uomo abbia subito vessazioni da alcuni colleghi, comportamenti che a lungo andare potrebbero averlo indotto al gesto estremo.

Nell’ordinanza – di cui LaPresse ha preso visione – sono riportati alcuni stralci delle dichiarazioni rese da un detenuto del carcere di Turi. L'uomo in particolare ha "riferito di aver assistito personalmente ad alcune condotte vessatorie, offensive e denigranti poste in essere da alcuni colleghi di Paolillo". Il detenuto ha raccontato che "lo prendevano in giro, dicendogli che aveva 60 anni, che non aveva una donna, che abitava ancora con la madre". L'uomo, ascoltato il 26 settembre 2022, ha fatto anche il nome di un ispettore capo e ha individuato altri 8 agenti dopo aver visionato diverse fotografie.

"Lo chiamavano gobbetta, gli davano giornaletti porno. Un giorno mi sono messo in mezzo dicendo di smetterla. Umberto spesso si confidava con noi. Lo vedevamo sempre triste, quando abbiamo saputo del suicidio, tutti abbiamo pensato che fosse arrivato al limite e che il gesto fosse collegato a ciò che subiva. Quel carcere è uno schifo", ha detto il detenuto, come si legge nell’ordinanza del gip del tribunale di Bari.

Determinante anche il lavoro dell’avvocato Antonio Portincasa del foro di Bari, che rappresenta Rosanna Pesce, la mamma – appunto – di Paolillo. "Aveva pensato, Umberto, prima di sparare il colpo dalla sua pistola d’ordinanza, di conservare accuratamente un foglio che spiegasse il perché di tanta disperazione. Quel biglietto, ben piegato e riposto nella giacca del giubbotto indossato, raccontava dei soprusi, delle ingiustizie, delle angherie sofferte. Tanti colleghi hanno parlato di lui a mamma Rosanna, raccontando delle angherie ricevute, quanto Umberto soffrisse e quanto cattivi fossero taluni a rendergli la vita insostenibile, pesante amara".

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