L’intervista di Massimo Bossetti nella docuserie sul caso Yara Gambiraso: “I veri assassini ridono di me”
"È più facile puntare il dito contro una persona, condannarla, piuttosto che ammettere di aver fatto un grosso sbaglio. È da tanto tempo che aspetto questo momento".
A parlare è Massimo Bossetti, l'uomo condannato all'ergastolo in via definitiva nel 2018 per l'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazza scomparsa il 26 novembre 2010 e trovata morta il 26 febbraio 2011. Inizia così la sua intervista esclusiva inserita nella docuserie Netflix Il Caso Yara: Oltre Ogni Ragionevole Dubbio.
"Sono 9 anni, il 16 giugno 2014, che sono stato rinchiuso. Io me lo sono sempre chiesto perché ci sono finito in questo caso. E me lo chiedo tutt’ora", spiega ancora Bossetti, che dal giorno dell'arresto continua a professare la sua innocenza, sostenuto anche dai suoi legali e dalla sua famiglia.
Nei cinque episodi della docuserie, a cui Bossetti ha deciso di partecipare per avere l'occasione di raccontare la sua versione, vengono ripercorse in modo minuzioso, attraverso interviste e materiali utilizzati durante il processo, tutte le tappe del caso. Prima fra tutte, il giorno dell'arresto, il 16 giugno 2014.
L'arresto raccontato da Massimo Bossetti
"È indimenticabile il giorno dell’arresto. Ricordo che stavo finendo la copertura di un solaio, quando in lontananza sentii tantissime sirene spiegate. Vidi un esercito tra carabinieri e polizia di Stato. Sentii il capocantiere chiamare il mio nome, mi disse: “Massi, vieni giù”. Non feci in tempo a scendere giù dal ponteggio che vidi un sacco di persone arrampicarsi", ha ricordato l'uomo, a cui è sempre stato contestato il fatto che, alla vista dei poliziotti lui avesse dato l'impressione di voler fuggire.
Un elemento che l'accusa ha sempre ritenuto in qualche modo sospetto. Bossetti nella serie replica: "Non sapevo cosa stesse succedendo, c’era casino. Perché dovevo scappare, da cosa e da chi? Mi trovavo a essere a un’altezza di sei, sette metri da terra e da dove dovevo buttarmi, dal ponteggio? Ero in stato confusionale, non capivo più niente, nessuno mi dava una spiegazione, sudavo e tremavo. Al capo chiesi: ‘Cosa sta succedendo?'. Non ci capivo più niente, nessuno mi dava una spiegazione. Mi misero una mano sul capo, mi abbassarono la testa e mi fecero entrare nella macchina dei Carabinieri".
La scoperta di non essere figlio di Giovanni Bossetti
Nell'intervista si parla anche del momento in cui, durante le indagini, Bossetti scoprì di non essere figlio dell'uomo che aveva sempre creduto suo padre, Giovanni Bossetti. Quando il suo dna venne confrontato con quello dell'autista Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999 e riesumato per le verifiche, a cui gli inquirenti risalirono raccogliendo tracce sul corpo di Yara.
"Io rimasi allibito. Che motivo aveva un pubblico ministero di affermare certe cose, che non fossi il figlio di Bossetti Giovanni, il padre che mi ha cresciuto, amato e accompagnato in tutto e per tutto? La mia infanzia trascorsa con i miei genitori e i miei fratelli è stata bellissima, vissuta con tutto l’amore e l’affetto che una famiglia potesse mai darti", ricorda.
Subito dopo aver ricevuto comunicazione da parte degli inquirenti dei risultati del test, Bossetti parlò con la madre: "La guardai dritta negli occhi e le chiesi: ‘Se c’è qualcosa, dimmelo, a me non interessa se c’è stata una storia negli anni ’60/’70, ma pretendo di sapere la verità'".
La questione fece molto scalpore e divenne oggetto delle puntate di trasmissioni televisive a cui partecipò anche la madre di Bossetti, Ester Arzuffi, morta nel 2018 a 71 anni. Lei negò sempre di aver avuto una relazione extraconiugale e rapporti sessuali con Guerinoni, sostenendo di essere stata vittima di un raggiro messo in atto dal suo ginecologo.
La donna infatti affermò che, per risolvere i problemi di infertilità, l'uomo avesse ricorso alla pma (procreazione medicalmente assistita) a sua insaputa, utilizzando il seme di Guerinoni. "Io le dissi: ‘Mamma, ma scusa un attimo. Io dubbi ce li ho su quello che mi stai dicendo. Ma com’è possibile che una donna si reca dal ginecologo, sente che le viene iniettato un liquido freddo e non si pone certe domande?'", ricorda ancora Bossetti.
"Ci andai giù pesante con lei, mi arrabbiai. Le dissi: “Mamma, falla finita, puoi prendere in giro un pm, prendi in giro chi vuoi, ma non prendere in giro noi figli. Abbiamo diritto di sapere la verità. Io sono qui dentro, mamma, prova a immaginare e ti auguro di non vivere quello che sto vivendo io. Di essere accusato di un'accusa infamante, vergognosa, umiliante".
Di fronte alle resistenza della madre, Bossetti ricorda di aver chiesto a uno dei suoi due legali, l’avvocato Claudio Salvagni, che ha assunto la difesa del muratore di Mapello insieme a Paolo Camporini, di poter fare gli esami del dna presso una struttura privata: "E davanti a un accertamento fatto da tutti noi familiari, a nostre spese, ho scoperto la cruda verità".
Il processo e la sentenza
"Quel momento lì per me è stato devastante, entrare in un’aula di giustizia e vedere tutta quella gente. Cercavo di fermare il pianto, non toglievo mai lo sguardo di dosso dalla dottoressa Ruggeri (Letizia Ruggeri, la pubblico ministero titolare del caso di Yara Gambirasio, ndr). Lei nemmeno una volta ha incrociato lo sguardo, mi ha rovinato la vita", racconta ancora Bossetti, quando parla dell'inizio del processo che ha portato alla condanna all'ergastolo in primo grado, poi confermata anche in appello e in Cassazione.
Le modalità con cui si svolse il processo furono molto contestate, come viene ricordato anche nella docuserie. Lo stesso avvocato Salvagni spiega: "Ci dovevano essere le telecamere perché la gente doveva conoscere cosa stava accadendo dentro quell’aula, purtroppo non è andata così". "A me quello che ha subito stupito è non aver visto in aula i genitori della povera Yara, i signori Gambirasio. Se fosse scomparsa una delle mie figlie, mai avrei disertato un’udienza, mai", commenta Bossetti.
E, mentre continua il suo racconto, torna a ribadire la sua innocenza: "Penso tutt’ora che il vero o i veri assassini siano ancora liberi e stiano ridendo di me e della giustizia". Ricorda anche le numerose richieste fatte tramite i suoi avvocati affinché si ripetesse l'esame del dna che, all'epoca, venne considerato prova principe perché, secondo l'accusa, confermò la presenza di Bossetti sulla scena del crimine.
In particolare, le tracce biologiche di quello che venne chiamato Ignoto 1, poi fatte risalire a Bossetti tramite i confronti con il dna di tantissimi abitanti della zona, vennero trovate sugli slip della 13enne. "Ho sempre chiesto insistentemente di concedermi la ripetizione di un semplice esame scientifico che avrebbe fugato ogni dubbio. Chi è quel pazzo che chiede una cosa del genere, se è davvero coinvolto in un omicidio?"
"Mi ricordo che non vedevo l’ora che arrivasse il giorno della sentenza, ero agitato nel cercare di capire cosa potesse cambiare. – prosegue nel suo racconto, scoppiando in lacrime – È difficile parlare quando ti piomba addosso una parola così pesante, ‘ergastolo’, stiamo toccando delle cose che mi fanno male. Però è anche giusto che la gente capisca. Ricordo di aver detto solo a Marita (sua moglie, ndr) di abbandonarmi e di pensare solo ai figli, il mio unico pensiero era quello".
E nelle battute finali della sua intervista, Bossetti spiega ancora una volta di essere stato vittima di un gigantesco errore giudiziario.
"Non riesco a vedere il mio futuro, sto cercando con forza di vivere giorno per giorno, sto vivendo il presente. Sto cercando di dare forza ai miei figli, di non farli preoccupare e di non farli sentire come mi sento. E mi fa male perché non riesco a essere compreso nella realtà di quello che sono, ma cerco di farmi valere, di non farmi uccidere dalla giustizia che ha tentato di abbattermi".