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L’infanzia rubata di Pino, Spartaco, Alberto e Annamaria, internati in manicomio per “carenza d’affetto”

Quarantacinque anni fa la Legge Basaglia sanciva la chiusura dei manicomi in tutta Italia. All’interno di quei padiglioni, non c’erano solo pazienti adulti ma anche tanti bambini, alcuni senza nessuna patologia, che si sono visti negare un’infanzia felice.
A cura di Simona Berterame
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Alberto Paolini oggi ha 90 anni. Lo incontriamo il giorno del suo compleanno, a casa. Sorride circondato da tanti amici mentre spegne le candeline sulla torta. Vista da lontano sembra una festa come tante, ma il passato di questo vecchietto è tutt'altro che ordinario. Alberto ha alle spalle una storia di abbandono e segregazione, una storia lunga 42 anni. È questo il tempo che ha trascorso nel più grande manicomio d'Europa, il Santa Maria della Pietà a Roma. Il motivo? Era orfano.

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Prima di finire ricoverato, Alberto si trovava in orfanotrofio. Una donna svizzera (che Alberto ancora chiama "la benefattrice") lo notò in mezzo a tanti altri bambini e decise di accoglierlo in casa. Ma l'idillio dura solo un paio di mesi. La benefattrice infatti, dopo poco più di 60 giorni, riporta Alberto in orfanotrofio affermando che il bambino "non era normale". "Io ero molto taciturno perché abituato alla severità dell'orfanotrofio – ammette Alberto – ma non avevo nessun disturbo". Il suo ingresso al Santa Maria viene sancito da una semplice risposta affermativa. "Un dottore mi ha fatto tantissime domande, ad un certo punto mi chiede se mi era mai capitato di sentire delle voci senza capire da dove provenissero. Io ho pensato intendesse di sentire persone parlare ma senza individuarle con lo sguardo ed ho annuito. Quella risposta è stata la mia condanna".

Bastava veramente poco per finire rinchiuso tra quattro mura per anni e anni. Anche solo essere considerata una bambina ribelle. Come Annamaria, che oggi ha 80 anni ed è finita al Santa Maria della Pietà da adolescente perché considerata troppo "esuberante" dalle suore che la ospitavano. "Volevo solo andarmi a fare una passeggiata – racconta Annamaria – ma le suore non erano d'accordo e così sono finita in manicomio".

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La storia di Villa Azzurra

Le persone in vita e in grado di raccontare l'orrore vissuto negli ospedali psichiatrici di un tempo sono sempre meno. La ricerca di testimoni ci ha portato a Torino. A pochi chilometri dalla città, un tempo sorgeva Villa Azzurra meglio nota come il manicomio dei bambini. Qui i piccoli ricoverati erano sottoposti a trattamenti spesso al limite della tortura e dell’umanamente accettabile. Il vaso di Pandora venne scoperchiato il 26 luglio 1970, quando L'Espresso pubblicò un'inchiesta su Villa Azzurra. Il reportage era composto da un articolo a firma di Gabriele Invernizzi e da alcune fotografie di Mauro Vallinotto, che ritraevano bambini nudi e legati ai propri letti. Poche ore dopo l'uscita dell'articolo i carabinieri si presentarono all'ingresso di Villa Azzurra e da lì iniziò il progressivo smantellamento del reparto. All'epoca a dirigere la struttura c'era lo psichiatra Giorgio Coda, che venne poi condannato a cinque anni di prigione e interdizione perpetua dai pubblici uffici, per i maltrattamenti inflitti. Il professor Coda veniva chiamato "l'elettricista" perché utilizzava in modo differente l'elettroshock, applicando gli elettrodi non sulle tempie dei pazienti, ma sui genitali.

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La rivincita di Pino

Ma c’è stato un altro processo, in tempi più recenti, a Catanzaro. A  più di mille chilometri da Torino conosciamo Pino Astuto, rinchiuso nel manicomio di Girifalco quando era solo un bambino. Anche lui non aveva nessuna patologia, eppure è rimasto lì per ben 32 anni,  fino al 1999. Tutto è partito dall'accusa di furto per un pezzo di pane. Pino aveva 9 anni e la madre lo aveva mandato al mercato. "Ma durante la strada del ritorno mi sono mangiato tutto il pane che avevo comprato poco prima – ammette Pino – così sono tornato indietro per "rubarne" un altro pezzo, avevo troppa paura della reazione di mia madre una volta tornato a casa".

Il ragazzino resta però chiuso all'interno del negozio e verrà ritrovato dai proprietari addormentato dentro una cesta dopo aver mangiato tutto quello che poteva. "Hanno chiamato la polizia poi mia mamma che si è rifiutata però di riprendermi. Io ero l'ultimo di sei figli e non è mai stata amorevole con me, mi picchiava sempre quindi io ero contento di non tornare a casa". Pino però non viene portato in un orfanotrofio ma in manicomio.

Una volta libero sente di aver subito una vera ingiustizia e decide di iniziare una battaglia in tribunale. Dopo aver bussato alle porte di diversi avvocati, incontra Serenella Galeno che decide di sposare la sua causa. Si tratta di un caso giudiziario unico al mondo, un paziente internato in manicomio che chiede di essere risarcito per gli anni di vita persi. Dopo dieci anni di processi Pino ha ottenuto un risarcimento di 50mila euro per il "riconoscimento della responsabilità dei sanitari per aver eseguito un ricovero illegittimo". I giudici hanno riconosciuto la sussistenza del "danno non patrimoniale individuabile nella perdita di chance dall’essere inserito in un nucleo familiare".

La fine dei manicomi

Il 13 maggio 1978, in un Paese ancora scosso dall'omicidio di Aldo Moro, il Parlamento italiano emana la Legge 180 meglio nota come Legge Basaglia. Veniva così introdotto un modello innovativo, passando da un trattamento solo contenitivo del malato, a un processo terapeutico in cui la persona doveva essere seguita nel rispetto della sua libertà e non più isolata dal resto del mondo. Come accade spesso in Italia però, ci vorranno altri 20 anni prima che la legge venga veramente applicata e i manicomi chiusi per sempre. Questo perché la Legge Basaglia, pur avendo un fine nobile e moderno, non aveva considerato la mancanza sul momento di una nuova collocazione per gli internati.

Molti pazienti non avevano nessuno al mondo, i pochi con dei parenti in vita venivano spesso rifiutati. In tempi recenti alcuni ex internati hanno trovato una famiglia grazie al  Progetto I.E.S.A (Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti). Gli ex bambini usciti da Villa Azzurra sono stati così accolti  all’interno di nuclei familiari di volontari, che offrono la loro disponibilità, dopo una serie di verifiche e colloquio con l'Asl, per questo tipo di servizio. Tra loro c'è Spartaco, entrato in manicomio che aveva solo 3 anni. Oggi è un sessantenne e dal 2013 vive insieme a Lorella e Tonino, in una grande casa in aperta campagna in provincia di Torino.

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Il suo primo compleanno l'ha festeggiato qui, ormai adulto e senza ricordi felici alle spalle. "A Villa Azzurra non ho mai festeggiato nulla – racconta – non ti davano neanche un dolce il giorno del tuo compleanno. Da bambino non ho mai ricevuto un regalo". Adesso insieme alla sua nuova famiglia può recuperare il tempo perduto, circondato finalmente dall'amore.

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