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Malika, cacciata di casa dai genitori perché gay

L’incubo di Malika, cacciata di casa dai genitori perché gay: “Sei la nostra rovina”

La denuncia di Malika, 22 anni, di origini toscane, arriva dritta come una pallottola. Vittima di odio di natura omofobico da parte dei genitori, è stata cacciata di casa a inizio gennaio per aver dichiarato di essersi fidanzata con una ragazza. “Mi hanno augurato un tumore, mi hanno detto che faccio schifo, che preferiscono una figlia drogata che lesbica e poi mi hanno cacciata di casa, cambiando la serratura della porta. Non ho nemmeno fatto in tempo a recuperare i miei vestiti e i miei effetti personali. Ho perso tutto, ma non mi pento di aver detto chi sono”.
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"Il 19 gennaio ho denunciato entrambi i miei genitori": Malika Chalhy ha 22 anni, è nata in provincia di Firenze e da 3 mesi non torna più nella casa dove vivono sua madre, suo padre e suo fratello. Motivo: il 4 gennaio 2021 aveva scritto una lettera alla sua famiglia in cui annunciava di essersi innamorata di una ragazza. "Temevo che non l'avrebbero presa bene, ma non avrei mai pensato che arrivassero a dirmi certe cose e a minacciarmi di morte", ci confida dopo averci fatto ascoltare una sfilza di messaggi vocali inviati su WhatsApp da sua madre in seguito al coming-out. "Sei uno schifo, lesbica, se ti vedo t'ammazzo. Non mi portare a casa quella p*****a perché le taglio la gola, sei la rovina della nostra famiglia". E ancora: "Ti auguro un tumore, sei la rovina della famiglia, meglio una figlia drogata che lesbica". Sono solo alcune, queste, delle frasi irripetibili e inascoltabili gridate a Malika da sua madre.

"Dopo avere sentito quegli audio ho avuto un immediato crollo fisico", ci racconta la 22enne stretta nel suo piumino nero. "Non sono nemmeno riuscita ad ascoltarli tutti subito perché stavo troppo male. Pian piano mi sono ripresa e l'ho fatto perché volevo capire fino a che punto potevano spingersi". Tre giorni dopo essere stata cacciata di casa (la condizione per restare era lasciare la fidanzata e non uscire più) Malika ha provato a farvi ritorno scortata dai Carabinieri per riavere almeno i suoi effetti personali. Nel frattempo i genitori avevano infatti cambiato la serratura della porta per impedirle di entrare. "Arrivata davanti a casa con i Carabinieri ho chiesto gentilmente a mia madre di farmi entrare solo per riavere i miei vestiti e le mie cose, ma lei, rivolgendosi ai due agenti, ha detto di non sapere chi fossi". Amareggiata, ferita in un punto del cuore che non può guarire, Malika se ne è andata nuovamente e ora vive in luoghi diversi, preoccupata per le spese – anche legali – da mantenere da sola con un lavoro che arriverebbe appena a pagarle un affitto. "E tuo fratello?" le chiediamo nella speranza che almeno uno dei suoi familiari stretti abbia preso le sue parti. "Mi ha detto che sono una m***a, un'infame e che mi merito le cose che mi hanno detto mamma e papà", ci racconta mostrandoci il lungo messaggio pieno di odio mandato dal fratello.

"Non c'è niente di sbagliato nell'amore"

Nonostante il dolore che a tratti le inumidisce gli occhi e malgrado la paura di subire nuove violenze (anche fisiche) da parte della sua famiglia, Malika non si è pentita di aver fatto coming-out e avere espresso se stessa. "So di non avere fatto niente di male, non mi vergogno per ciò che sono", dice senza riuscire a trattenere le lacrime. "Non c'è niente di male ad amare qualcuno, a prescindere dal sesso o da qualsiasi altro fattore. Nell'amore non ci sarà mai nulla di male. Non sono io a non essere normale, ‘non normale' è picchiare un figlio, è impedirgli di esprimere se stesso liberamente, è maltrattare qualcuno sulla base della sua preferenza sessuale". E insiste: "Io non sento di avere sbagliato qualcosa, però sono a pezzi. Ho 22 anni, e una carezza da mia madre ancora la volevo".

Eppure, non è la prima volta che Malika subisce violenza da parte dei suoi. "Anni fa mi iscrissi di nascosto a calcetto. Non lo dissi perché sapevo che i miei si sarebbero arrabbiati in quanto secondo loro non è uno sport da ragazze. Quando trovarono nella macchina i miei indumenti da calcetto, scoppiò il finimondo e mi misero le mani addosso". In quell'occasione, Malika confida di avere tentato di togliersi la vita e di essere poi stata portata d'urgenza all'ospedale, dove avrebbe dovuto essere affidata ad una psicologa, ma la madre si oppose. "Da allora non ho più potuto giocare a calcetto, uno sport che amavo tanto, in cui avevo trovato degli amici e in cui ero brava". Brava a tal punto che il suo allenatore la chiamava "Pirlo", ci confida sorridendo amaramente. Abbiamo tentato più volte di metterci in contatto con i genitori di Malika per sentire anche la loro versione, ma si sono rifiutati di risponderci.

Reati omotransfobici: mncanza di tutele

Dopo le ennesime minacce ricevute a Pasqua, Malika dice di avere paura. "Ho paura che i miei genitori possano farmi del male. Sono sicura che lo farebbero se tornassi a casa, per questo ho sporto denuncia ai Carabinieri, anche se per ora non è che sia cambiato molto… a dirla tutta, non è cambiato niente". Attualmente Malika ha un avvocato che non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Le indagini a carico dei genitori sarebbero ancora in corso, ma attualmente in Italia non ci sono leggi che tutelano le vittime di crimini di odio omotransfobico come Malika.

E' argomento di discussione proprio in questi giorni l'ennesimo rinvio in Senato del ddl Zan, che propone modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale. Il disegno di legge prospetta "misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità" e inasprisce le pene per chi si macchia di questi crimini. Approvato alla Camera a novembre 2020, il ddl Zan è ostacolato in Senato dalla Lega ed in particolare dal Presidente della Commissione Giustizia Andrea Ostellari, che ne ha bloccato la calendarizzazione sostenendo che "non sia una priorità" per l'esecutivo. In seguito a questo rinvio la palla passa alla Presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati, alla quale spetta la decisione sui tempi della discussione del disegno di legge.

Intanto, su Change.org è partita una petizione per mobilitare l'opinione pubblica a fare pressione per far passare una legge che secondo il leader del Carroccio Matteo Salvini e il senatore Pillon (quest'ultimo tra gli organizzatori del Family Day) "limiterebbe la libertà di espressione". "La violenza è già punita dalla legge italiana" sostengono i due leghisti, ma con questa norma si limiterebbe la libertà di pensiero e di espressione di un'ampia fetta della popolazione. Secondo i suoi sostenitori, invece, il ddl Zan si limiterebbe a punire i crimini di odio per motivi legati al sesso o al genere ed i discorsi d'odio non attengono alla libertà di espressione in democrazia. La petizione online per far passare il disegno di legge è stata lanciata dal giornalista Francesco Lepore e ha ricevuto il sostegno di diversi personaggi noti nel mondo dello spettacolo italiano.

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