Liliana Resinovich, Procura chiede archiviazione: “No certezza su giorno della morte, ma fu suicidio”
Le indagini non sono riuscite a chiarire se Liliana Resinovich sia morta il giorno della scomparsa, avvenuta il 14 dicembre 2021, o poco prima del ritrovamento del cadavere scoperto il 5 gennaio successivo, ma per la Procura di Trieste l'unica certezza è che la sua morte non sia avvenuta per mano di altri, ma per mano della stessa Lilly. Un caso di suicidio quindi per il pm Maddalena Chergia, titolare del fascicolo, che ha chiesto l'archiviazione del caso dopo oltre un anno d'indagine.
In una nota diffusa questa mattina dalla Procura di Trieste e firmata dal procuratore Antonio De Nicolo, si leggono le motivazioni della richiesta di archiviazione avanzata dal pm secondo cui "non è necessario sciogliere tale dilemma per giungere all'archiviazione della vicenda: è sufficiente constatare che dalle indagini, scrupolosamente condotte, non è emersa, con un minimo di concretezza, alcuna ipotesi di reato specifica e perseguibile ai danni della deceduta".
La Procura avrebbe dunque portato a termine il proprio dovere, ovvero quello di accertare se vi siano stati dei reati contro la 63enne trovata morta in un'area boschiva di Trieste non troppo lontano dalla casa dove viveva con il marito Sebastiano Visintin. E secondo quanto emerso dalle indagini, durate più di un anno, nessun reato sarebbe stato commesso nei suoi confronti, nemmeno la presunta "segregazione contro la sua volontà" o "la sussistenza di altre condotte lesive in suo danno ad opera di terzi".
Ma allo stesso tempo "non è stato possibile appurare se sia vero che la signora sia deceduta lo stesso giorno della sua scomparsa (come molte circostanze in fatto, puntualmente indicate nella richiesta di archiviazione, inducono a supporre) o se, alternativamente, sia vero che abbia voluto rimanere nascosta un paio di settimane ed abbia deciso di por fine alla propria vita solo pochi giorni prima del ritrovamento (come fa propendere la consulenza medico legale)".
Una versione, quella del suicidio, alla quale il fratello di Liliana non ha mai creduto. L'uomo, rappresentato da Nicodemo Gentile, presidente dell'Associazione Penelope, ha chiesto infatti che venisse effettuata una perizia psicologica che potesse far luce proprio sullo stato psichico della sorella che fino a quel momento non aveva mai mostrato segni di malessere o turbamento. L'autopsia psicologica avrebbe infatti chiarito che Liliana Resinovich “stava bene“ e che non avrebbe mai assunto psicofarmaci, e che dunque non c'erano intenzioni suicide da parte sua, al contrario invece di quando sarebbe emerso dalla consulenza medico legale disposta dalla Procura di Trieste, secondo cui la donna si sarebbe appunto suicidata soffocandosi con dei sacchetti in testa.