Stanno trapelando i primi risultati della seconda autopsia effettuata sul corpo di Liliana Resinovich, la donna scomparsa da Trieste il 14 dicembre 2021 e rivenuta cadavere in un boschetto dell’ex ospedale psichiatrico, non distante dalla sua abitazione, il 5 gennaio 2022.
Quando di Liliana si perdono le tracce le ricerche sembrano muoversi nella direzione dell’individuazione di un soggetto adulto che potrebbe essersi allontanato volontariamente. Tanto che anche il marito Sebastiano, nelle sue numerose e discordanti versioni, affermerebbe anche di non essersi preoccupato particolarmente per quella assenza, per poi riferire però, di aver visto Liliana turbata la sera prima della scomparsa.
Con il passare dei giorni prende campo anche l’ipotesi di un gesto autolesivo posto in essere dalla donna. Dall’analisi del video, del momento del ritrovamento del corpo di Liliana, le azioni poste in essere da chi interviene sul luogo sembrano infatti andare più nell’indirizzo dell’identificazione del cadavere che non della preservazione di quella sarebbe potuta essere una scena del crimine primaria o secondaria o anche terziaria.
La prima autopsia effettuata sul corpo della donna ha rilevato diverse lesioni ed ecchimosi. In particolare verrebbe individuata una vecchia frattura al naso ed altre lesioni o tumefazioni al volto ed alla testa della donna, con anche un’infiltrazione emorragica sulla lingua. Soprattutto la morte di Liliana viene collocata, dai due esperti che effettuano l’autopsia, entro le 48- 72 ore dal momento del ritrovamento.
L’ipotesi della Procura sarebbe pertanto quella di un suicidio. Liliana, il cui corpo viene rinvenuto in ottime condizioni di conservazione, con gli abiti e la biancheria intima puliti e perfettamente depilata, si sarebbe allontanata volontariamente da casa quella mattina del 14 dicembre 2021, per poi restare nascosta in un luogo o presso qualcuno che le avrebbe consentito di lavarsi, di prendersi cura di sé ed anche di assumere gli stessi alimenti con cui aveva fatto colazione la mattina della scomparsa, visto il contenuto gastrico, per poi decidere di recarsi nel boschetto per porre fine alla sua vita.
Pertanto Liliana si sarebbe incamminata in quel luogo, attraverso sentieri piuttosto impervi, dove potrebbe essere caduta o aver inavvertitamente sbattuto contro degli alberi, andando quindi a spiegare le ecchimosi e le lesioni riscontrate, per poi indossare un sacchetto biodegradabile in testa, fissarlo al collo con un cordino però lasso, pertanto non funzionale a garantire una morte per asfissia, si sarebbe riposta in due sacchi neri (uno infilato dal capo e l’altro dai piedi) ed in posizione fetale, si sarebbe lasciata morire.
Una ricostruzione questa che appare poco verosimile sotto diversi aspetti, ancor più a fronte delle indiscrezioni relative alle nuove perizie disposte sul cadavere della donna.
Va rilevato primariamente, che come dicevamo, gli abiti, ma soprattutto le scarpe di Liliana Resinovich vengono rinvenuti sostanzialmente puliti. Sono pochissime le foglie ritrovate all’interno dei due sacchi in cui era contenuto il corpo della donna e questo appare difficilmente compatibile con l’ipotesi che Liliana abbia percorso quel sentiero a piedi, indossando le sue scarpe, senza che a queste aderissero del fogliame o della terra e che, nell’atto di inserirsi nei sacchi non abbia introdotto all’interno di essi (soprattutto nel sacco infilato dai piedi) il medesimo materiale vegetale.
Appare altrettanto inverosimile che il corpo della donna sia rimasto per circa venti giorni in quel boschetto, come sostiene anche lo zoologo Nicola Bressi, incaricato di effettuare una perizia per accertare quali animali popolino l’area boschiva intorno al parco di San Giovanni. L’esperto avrebbe dichiarato infatti che il cadavere poteva essere nel boschetto da un giorno, non di più, diversamente sarebbe stato attaccato dalla fauna che popola quelle zone, in particolare cinghiali e volpi.
Ma se il corpo di Liliana è stato portato nel boschetto al massimo il giorno prima del suo ritrovamento, escludendo l’ipotesi che possa essersi recata lì Liliana stessa, autonomamente, non avendo addosso elementi compatibili con l’ambiente circostante, come si possono spiegare le lesioni rinvenute? E quando è morta Liliana?
È legittimo ipotizzare che la donna sia stata aggredita? Che quell’aggressione possa averle fatto perdere i sensi e, in quello stato di incoscienza sia stata quindi uccisa? Magari con il sacchetto in testa o con un altro mezzo che potesse comunque provocare un’asfissia?
Sarà compito di questa nuova perizia stabilire quando Liliana sia morta e se il suo corpo, come sostiene il biologo, sia arrivato nel boschetto solo un giorno prima del suo rinvenimento. È possibile che Liliana sia stata uccisa il giorno della sua scomparsa? Il che spiegherebbe tutta una serie di altri elementi, cioè che indossasse gli stessi abiti con cui è stata inquadrata dalle telecamere quella mattina, la stessa borsa, per altro le viene trovata ancora indossata a tracolla e lo stesso contenuto gastrico.
Ma se così fosse, dove è stato tenuto per quei venti giorni il corpo di Liliana? E soprattutto come è stato conservato? Forse delle risposte a questi interrogativi potrebbero arrivare da alcune tracce repertate sugli indumenti della donna e da alcuni piccoli insetti rinvenuti morti sul suo corpo. Comprenderne la natura e la provenienza potrebbe portare gli inquirenti verso il luogo in cui il corpo potrebbe essere stato tenuto nascosto prima di essere stato spostato nel boschetto, forse proprio affinché fosse ritrovato.
Seguendo questa ipotesi, di uno spostamento del cadavere pochi giorni prima del suo ritrovamento risulterebbe molto rilevante ricercare ed approfondire gli spostamenti delle persone vicine a Liliana in quei giorni.
Elementi nuovi, quelli che stanno emergendo dal lavoro del collegio peritale che risultano maggiormente compatibile con un’ipotesi diversa da quella del suicidio e che potrebbero indurre a una nuova analisi e ad una lettura differente degli elementi già acquisiti.