Liliana Resinovich, dai sacchetti al guanto: le risposte che ancora mancano secondo il perito di Sterpin
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Sono attesi per il 28 febbraio i risultati della super perizia effettuata sul corpo di Liliana Resinovich, la 63enne trovata morta il 5 gennaio 2022 nel bosco dell'ex Opp di Trieste. La donna era scomparsa il 14 dicembre 2021 e ancora oggi il suo decesso è avvolto nel mistero.
La consegna dei nuovi esami autoptici era attesa per il 15 febbraio e punta a chiarire almeno 25 punti, tra i quali anche la data della morte e la natura dei segni sul volto della 63enne. La domanda delle domande resta però quella relativa alla "natura" del decesso: a tre anni di distanza dall'accaduto, infatti, l'omicidio resta ancora una mera ipotesi.
Coprotagonisti della storia sono Sebastiano Visintin, marito della 63enne, e Claudio Sterpin, l'amico di vecchia data con il quale Liliana aveva recentemente riallacciato i rapporti. Nessuno dei due è mai stato indagato per la morte della donna.
Proprio i legali di Sterpin, l'avvocata Alessia Pontenani e l'avvocato Gianluigi Comunello, hanno chiesto al criminalista, biologo forense e consulente tecnico Salvatore Spitaleri di redigere una "contro-perizia" che ha fatto emergere alcune "criticità sulle attività di indagine".
Per Spitaleri, infatti, Liliana Resinovich è stata uccisa "senza ombra di dubbio", come ha chiarito a Fanpage.it. "La Dottoressa Cristina Cattaneo è una professionista preparatissima, si è occupata di tanti casi di cronaca importantissimi – ha sottolineato Spitaleri – e sono certo che svolgerà il suo lavoro al meglio. Quelle che rendono complicate le analisi sono le condizioni del corpo, ormai in via di putrefazione".
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I sacchi nei quali era avvolto il corpo di Liliana Resinovich
Secondo quanto scrive Spitaleri, la morte di Liliana "non può che essere di natura omicidiaria". A provare questo punto, le condizioni dei sacchi della spazzatura nei quali era avvolto il corpo della 63enne al momento del ritrovamento.
"Parliamo di 4 sacchi della spazzatura, due di colore nero per la raccolta dell'indifferenziata e altri due più piccoli per la raccolta dell'umido – ha spiegato Spitaleri -. Quando si è parlato dell'ipotesi suicidio, non potevo crederci. Sui sacchi neri che avvolgevano la parte superiore e quella inferiore del corpo non sono state trovate impronte papillari di Liliana, così come appare impossibile che abbia deciso di indossare di sua iniziativa i sacchetti biodegradabili sul volto. Se così fosse stato, infatti, si sarebbe innescato da subito un processo di putrefazione sul volto, cosa che non è accaduta".
Secondo Spitaleri, anche su questi due sacchetti non sono state trovate impronte della vittima. "Sono stati infilati dall'assassino nel momento in cui il cadavere della 63enne è stato portato sul luogo del ritrovamento con la finalità di contenere i fluidi corporei ed evitare che sporcassero il mezzo usato per il trasporto" sottolinea ancora il biologo forense e criminalista.
La prova, sempre secondo il consulente, sarebbe data dal fatto che sui due sacchi neri sono state trovate tracce di un guanto in tessuto. "Tralasciando l'impaccio che una modalità simile di suicidio avrebbe causato, appare impossibile infilare due sacchetti biodegradabili sul capo e altri due sacchi neri sul resto del corpo senza lasciare impronte. In questo contesto si colloca poi anche il ritrovamento del guanto in tessuto, lasciato poco lontano dal cadavere".
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Il guanto nero sulla scena del crimine
Sulla scena del crimine è stato trovato un guanto nero, abbandonato a pochi metri dal cadavere di Liliana Resinovich. L'indumento è stato posto sotto sequestro per le analisi del caso. La Polizia Scientifica di Milano ha eseguito sul guanto tre campioni, tamponando la superficie interna del pollice, dell'indice e del palmo. Gli approfondimenti sui tre campioni non hanno però fornito alcun esito sul profilo genotipico di chi lo aveva calzato.
"Tre campioni non sono affatto sufficienti – ha sottolineato Spitaleri -. Ricordo che per individuare gli assassini di Valentina Salamone, uccisa nel luglio del 2010, abbiamo effettuato sulle sue scarpe oltre 260 campionature che hanno poi portato a individuare il profilo genotipico dei responsabili. Di queste 260 campionature, solo 5 o 6 ci hanno fornito il dato che ci serviva. Come possiamo pensare che 3 campioni siano sufficienti per arrivare a un risultato?".
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L'uomo con la torcia
Altro dato importante per ricostruire il caso è la testimonianza, secondo Spitaleri, fornita da una donna che la mattina del 5 gennaio, intorno alle 6, ha raccontato di aver visto un uomo vestito di nero con la barba bianca che cercava con una torcia qualcosa nei pressi del varco che permette di accedere al boschetto nel quale è stato trovato il corpo di Liliana.
"Non è casuale il rinvenimento di un guanto nero proprio sul percorso che unisce il varco della recinzione al boschetto e non è casuale neppure che l'uomo descritto dalla testimone sia stato visto proprio poco lontano da lì. Il racconto della donna assume un'importanza notevole per le indagini: l'avvistamento precede di una decina di ore il rinvenimento del corpo ed è plausibile pensare che quella persona stesse cercando proprio il guanto poi sequestrato. La cosa diviene ancora più sospetta se consideriamo che sui sacchi neri che avvolgevano il cadavere di Liliana vi erano tracce di tessuto".
Secondo il biologo forense, l'uomo in questione potrebbe aver smarrito il guanto dopo aver abbandonato la salma di Liliana, conservata in un luogo fresco dal 14 dicembre fino al giorno del ritrovamento. Resosi conto del rischio rappresentato dall'oggetto smarrito, è tornato sulla "scena del crimine" per recuperarlo.
"I primi bagliori del giorno potrebbero averlo spaventato, inducendolo ad andarsene per non essere visto, cosa che è poi accaduta".