Liliana Resinovich, cosa c’è scritto nella perizia di Cristina Cattaneo: gli 8 punti per cui è omicidio

Sono otto i punti conclusivi della nuova perizia di 235 pagine sul corpo di Liliana Resinovich, firmata dall’anatomopatologo forense Cristina Cattaneo, che stravolgono le direzioni delle indagini sulla sua morte, e impongono, secondo quanto comunica ai media il Procuratore Federico Frezza “una profonda rivalutazione dell’intero procedimento”.
Dal giorno della scomparsa di Lilli, in una prima fase, si è indagato per sequestro di persona. La prima autopsia propendeva per il suicidio, causato da “una lenta asfissia da sacchetto”. Il Procuratore di Trieste De Nicolo, al tempo, aveva chiesto l’archiviazione, ma il Gip Luigi Dainotti ha rigettato la richiesta disponendo una nuova autopsia e venticinque punti di ulteriore indagine. Da quel momento è cambiato il titolo del fascicolo: si è indagato per omicidio volontario.
Secondo la nuova perizia Liliana è morta “in via di elevatissima probabilità” il 14 dicembre 2021, ovvero il giorno in cui, a tarda sera, ne è stata denunciata la scomparsa. Secondo i nuovi consulenti ci sono evidenze non solo anatomopatologiche, ma anche “ambientali e naturalistiche” che portano in questa direzione. Tra i professori che hanno redatto la nuova perizia vi sono anche l’entomologo Stefano Vanin, Stefano Tambuzzi e Biagio Eugenio Leone. La prima perizia, firmata dal medico legale Fulvio Costantinides e il medico radiologo Fabio Cavalli, basandosi sul rigor mortis, datava la morte non oltre 62 ore prima del ritrovamento.
Ora sono anche le osservazioni sugli elementi ambientali riscontrati sul corpo e sul luogo del ritrovamento a indicare una nuova datazione: la presenza di insetti e di vegetazione intorno al corpo di Lilli fanno pensare a una morte avvenuta il giorno della scomparsa.
Inoltre il corpo, proprio per le ragioni ambientali, secondo le conclusioni che Fanpage.it ha potuto visionare, non è mai stato spostato dal punto del parchetto in cui è stato ritrovato, “ciò è suffragato da evidenze scientifiche e dall’assenza di elementi indicativi di permanenza in altro luogo”. E non è stata quindi congelata. “Non esistono elementi neanche lontanamente suggestivi del fatto che il corpo della donna possa essere stato sottoposto a procedura di congelamento”, si legge.
Al terzo punto viene spiegata la causa della morte della donna di Trieste. Non una lenta asfissia da sacchetto, come si ipotizzava nella prima autopsia, ma “una asfissia meccanica esterna”, quindi strangolamento, che avviene o subito dopo o contemporaneamente a un’aggressione, “lesività di natura contusiva”, ovvero, per esempio “afferramenti, urti, compressioni, pugni e graffi”.
Liliana Resinovich quindi sarebbe stata aggredita e questo ha causato lesioni alla testa e alla mano destra e “probabilmente in altre parti del corpo, come il torace e gli arti”.
Il corpo di Lilli ha una serie di plurime contusioni cerebrali, rilevate al microscopio, e databili poco prima della morte. A causa della posizione delle lesioni in “molteplici poli di impatto su differenti piani e in posizione tra loro asimmetrici”, si ipotizza che non possano essere state causate da un incidente, che “risulta tecnicamente non prospettabile”, ma anzi è plausibile “l’avvenuto intervento di una terza persona”.
L’unico scenario tecnicamente percorribile per il collegio di periti è l’omicidio “a mezzo di soffocazione esterna”. Non ci sono segni che il corpo o i vestiti di Lilli siano entrati in contatto con alcun elemento caratteristico, come un’arma.
Sugli indumenti di Lilli e nei sacchetti che avvolgevano la testa ci sono degli “elementi piliferi”. I periti suggeriscono che venga eseguito non solo l’esame genetico su questi nuovi elementi, ma anche su quelli già campionati dalla polizia. Il fine è quello di individuare chi avrebbe causato la morte di Lilli.