Non avevo azzardato a paragonare la tragica morte di Liliana Resinovich alla più famosa delle commedie di Pirandello, sei personaggi in cerca d’autore. Ma, ad oggi, purtroppo, il palco diventa ancor più affollato da nuovi protagonisti. Così, nella giornata di domani, per fare chiarezza sul decesso di Lilli, verranno disposti nuovi accertamenti tecnici irripetibili sui reperti rinvenuti vicino al cadavere di Liliana Resinovich: la bottiglia, la borsetta e i sacchi. Si tratta di accertamenti che si avvarranno di una particolare luce forense per cercare eventuali impronte papillari latenti.
Le nuove analisi e le luci forensi
Potendo a ragion veduta ritenersi accantonata l'assunzione di droghe da parte di Liliana, gli inquirenti devono partire nuovamente da un interrogativo: chi poteva avere interesse a che la donna morisse? Importanti risposte sono attese rispetto agli accertamenti che si svolgeranno domani. In particolare, verranno condotte nuove analisi sui reperti rinvenuti di fianco al corpo esamine di Lilli: la bottiglia, la borsetta e i sacchi.
Per espletare simile attività, la Procura ha deciso di fare ricorso a una tecnica sofisticatissima: illuminazione multispettrale ad alta intensità. Più precisamente, verrà utilizzato un macchinario che si avvale di una luce forense più intensa e che lavora sui contrasti. In tal senso, essa è in grado di evidenziare non solo le sostanze, ma soprattutto anche eventuali tracce papillari altrimenti non rilevabili con le ordinarie tecniche. E, ormai lo sappiamo, le impronte papillari individuate sulla scena del crimine sono un importante elemento di validità probatoria. Esse sono formate da secrezioni della pelle generate da diversi tipi di ghiandole. Si distinguono in: impronte digitali, quelle dei polpastrelli; impronte palmari, quelle dei palmi delle mani ed impronte plantari, quella della pianta del piede. Chiaramente, le impronte digitali sono quelle più utilizzate nelle indagini giudiziarie perché identificano senza dubbio il soggetto che le ha lasciate. Difatti, esse sono: uniche, non esistono due persone con la stessa impronta digitale; non trasferibili, se c’è un’impronta su di un oggetto è perché ho toccato quell’oggetto; sono immutabili, restano le stesse per tutto l’arco della vita di una persona. Ancora una volta la parola alla scienza.
L’esito dell’autopsia e gli esami tossicologici
L’autopsia su Liliana Resinovich aveva rilevato quale causa di morte lo scompenso cardiaco acuto. Le cause più frequenti di quest’ultimo sono: la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa (come conseguenza dell’elevata pressione del sangue nelle arterie), il diabete e analoghe patologie croniche che, però, non risultano nella storia clinica di Liliana. Nondimeno, le modalità di rinvenimento del cadavere – con il capo infilato in due buste di nylon ed il corpo imbustato in sacchi neri – avevano fatto pensare a una morte per soffocamento. Senza, però, che l’autopsia rivelasse un episodio di insufficienza respiratoria, i cui sono segni sempre evidenziabili in sede autoptica anche a distanza di tempo. Dunque, era già stata esclusa la matrice asfittica del decesso.
Che cosa è successo a Liliana quella mattina?
A questo punto, anche se ancora per la Procura resta aperta la pista dell'estremo gesto, a dare maggior credito alla pista dell’omicidio sono intervenute anche le risultanze dei tossicologici. Gli esami in parola, difatti, hanno dato esito negativo. In proposito, non può sottacersi neppure l’importanza della tecnica utilizzata: la spettrometria di massa. Quest’ultima è una tecnica analitica che non solo è in grado di rilevare l’assunzione di sostanze sconosciute, ma anche di sole tracce delle stesse: Liliana quella mattina aveva assunto un multivitaminico e si era portata dietro una bottiglietta d’acqua.
Escluso l’uso di benzodiazepine e la causa di morte asfittica, possiamo provare a ipotizzare quanto segue. Sempre in linea teorica, perché, allo stato, il fascicolo resta aperto per sequestro di persona a carico di ignoti. Ipotizziamo, però, lo scenario alternativo. Lilli potrebbe aver avuto una violenta lite con qualcuno. Una lite in conseguenza della quale potrebbe essersi sentita male. Ed è probabile che quel qualcuno, anziché chiamare i soccorsi, abbia voluto assicurarsi che morisse ponendole i sacchetti al collo. Per poi, ovviamente, simulare nel boschetto un barbaro suicidio. Questo sempre nel campo delle ipotesi.
Il fattore Dna
La scorsa settimana – stando ad indiscrezioni – sarebbe stato prelevato il Dna anche al vicino di casa dei coniugi Visintin, Salvo. Lo scenario così come configurato conferma quanto già ipotizzato circa la piena utilizzabilità della traccia genetica isolata sul cordino che teneva uniti i sacchi al collo di Liliana. Nella speranza che le analisi di cui sopra diano utili riscontri, e in attesa anche degli esiti di quelle botaniche – per comprendere se Liliana sia morta nel boschetto o vi sia stata abbandonata in un momento successivo – possiamo fare ulteriori considerazioni. Considerazioni che, a mio avviso, potranno portare a conclusioni interessanti.
Anzitutto, è indispensabile capire se l’impronta genetica maschile era collocata sui lembi del cordino. Questo, difatti, ne implicherebbe il rilascio nell'atto di chiusura dei sacchi al collo di Liliana. In più, sempre considerando il laccio, bisognerà verificare come e se fosse tagliato o strappato. E ancora. Sarebbe utile, sempre a mio avviso, condurre un’analisi merceologica diretta a verificare la tipologia e la natura dello spago. Analisi, quest’ultima, estremamente utile per fare un'attività di comparazione con quello consegnato da Sebastiano agli inquirenti. Chi potrebbe essere coinvolto nella morte di Liliana Resinovich?