Le lettere di Michele Misseri per Sabrina e Cosima: “Volevano avvelenarmi”
Michele Misseri, il contadino di Avetrana coinvolto nell’omicidio della giovane Sarah Scazzi, è stato dall’inizio di questo tragico delitto forse quello che, tra gli indagati, maggiormente ha fatto discutere. Ha fatto discutere perché “zio Michele” è stato colui che per primo ha confessato l’omicidio, che ha fatto ritrovare il corpo della nipote Sarah, colui che ha anche avanzato particolari ricostruzioni intorno al delitto di Avetrana ma che poi ha tirato in ballo la figlia Sabrina, ora in carcere (mentre lui è libero) con l’accusa di aver ucciso la cugina insieme alla madre Cosima Serrano. Ma da quando Misseri ha ritrovato la sua libertà non ha fatto altro che cercare di convincere gli inquirenti di essere il vero responsabile della morte di Sarah, di meritare il carcere al posto delle donne della sua famiglia. E proprio a loro Misseri ha scritto diverse lettere in questi mesi, Tgcom24 ne ha pubblicato alcune in esclusiva: ha preso foglio e penna e si è rivolto a Sabrina e a Cosima, protagoniste delle ultime udienze del processo a Taranto. Nelle lettere Misseri parla di tante cose, compreso un tentativo di avvelenamento nei suoi confronti.
“Due fette biscottate con due buchi invisibili” – Alla figlia Sabrina lui si rivolge in questo modo: “Quella mattina che io dovevo essere interrogato mi avevano messo nella cassetta della posta due fette biscottate al latte…c’erano due buchi invisibili, forse volevano avvelenarmi come hanno fatto coi gatti”. Così Misseri scrive delle presunte minacce di morte giunte nei suoi confronti, insieme a una “brutta lettera” di cui parla ancora a sua figlia. Ammette di non riuscire più a dormire, di essere stanco di vivere “in questo schifo di vita”. Quando, al processo, avrebbe potuto parlare ai giudici Misseri si è detto “stanco” e si è avvalso della facoltà di non rispondere ma a Sabrina dice: “La prossima volta al processo devo parlare per forza ma non so se gli inquirenti mi crederanno”. Poi ci sono le lettere indirizzate a Cosima Serrano, sua moglie. A lei Misseri ribadisce il suo pensiero sugli inquirenti e sulla giustizia, quella giustizia nella quale lui ormai non crede più.