“Le ferite sulle vittime già conducevano a loro”: parla il procuratore dopo la decisione su Rosa e Olindo
"Come procura generale siamo soddisfatti dell'esito del processo perché hanno trovato accoglimento le nostre richieste. Ogni ulteriore commento potremo farlo quando leggeremo la sentenza e capiremo quali punti sono stati sviluppati dalla Corte". Così ha commentato il pg di Brescia, Guido Rispoli, la notizia della non ammissibilità dell'istanza del processo di revisione a Rosa Bazzi e Olindo Romano, già condannati in via definitiva all'ergastolo per la strage di Erba.
Rispoli ha aggiunto che "dall'inizio dello studio degli atti, da quando ci sono arrivati, insieme all'avvocato generale, riteniamo di aver avuto un approccio assolutamente laico e mano a mano che studiavamo, sempre più ci convincevamo della non valenza demolitoria degli elementi di prova che erano stati prodotti perché dobbiamo tenere conto che siamo nel processo di revisione che ha delle regole molto particolari e che sono molto da addetti ai lavori".
Ma una cosa il procuratore l'ha chiarita. Il coinvolgimento dei coniugi poteva essere confermato già "analizzando le ferite che erano state trovate sui corpi delle povere vittime e dove è pacifico che siano state inferte da due persone diverse, una di statura bassa e mancina, con colpi dati dal basso verso l'alto, e da sinistra verso destra, con una capacità di penetrazione ridicola, cioè 2 centimetri, che non superava neanche l'adipe delle vittime, e che i periti che hanno studiato il caso hanno ritenuto manifestazione di una animosità di odio covata dalla persona che colpiva in questo modo. Per quanto riguarda i colpi dati da una persona più alta, con la spranga dall'alto verso il basso, riconducevano già dal primo momento ai due imputati che sono stati condannati. Poi tutto il resto è andato in questa direzione".
A lui ha fatto eco l'avvocato dello Stato Domenico Chiaro, che ha ricordato, tra l'altro, che una macchia di sangue di una delle vittime sull'auto dei coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi "testimoniava la loro presenza", come stabilito anche dalla Cassazione. Secondo Chiaro, "si era diffusa la vulgata secondo cui tutte le sentenze si basavano solo su tre indizi, invece fin dall’inizio vi era una piattaforma indiziaria che conduceva a Olindo Romano e Rosa Bazzi", una pista che "inevitabilmente portava a loro due" e "non era possibile alcuna pista della criminalità organizzata".