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Opinioni

Le bugie sull’aborto: non è vero che tutto funziona, l’obiezione nuoce sempre più alle donne

La storia per cui l’iter per abortire sia semplice è una bugia che continuiamo a raccontarci, non supportata dai dati e sempre più problematica per le donne.
A cura di Jennifer Guerra
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(foto di Clemens Bilan/Getty Images)
(foto di Clemens Bilan/Getty Images)

In questo Paese ogni anno ci ripetiamo una bugia. E la bugia è che un servizio di salute essenziale è garantito e funziona benissimo, quando non è affatto così. Secondo la relazione annuale del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194, la legge che nel 1978 depenalizzò l’aborto, in Italia interrompere una gravidanza è un iter relativamente semplice e anche durante la pandemia “tutte le Regioni hanno reagito prontamente alla situazione e […] i servizi hanno riorganizzato opportunamente i percorsi Ivg con l’obiettivo di garantire le prestazioni”. Ma se davvero il servizio abortivo funziona, come è possibile che ogni settimana sulle pagine dei giornali escano inchieste, articoli e storie che smentiscono questa versione dei fatti? Un servizio non funziona bene se in 18 ospedali italiani non c’è un solo medico non obiettore o se ci sono donne che hanno dovuto andare in 23 ospedali diversi per abortire.

Dal 1980, il Sistema di sorveglianza epidemiologica delle Ivg si occupa di raccogliere i dati sugli aborti in Italia e di presentarli al Parlamento. Ogni volta che si svolge un’interruzione di gravidanza, ciascuna struttura compila un modulo che include diverse informazioni, sia sulle caratteristiche demografiche della gestante, come lo stato civile, il titolo di studio o la nazionalità, sia informazioni mediche, come l’età gestazionale, il metodo scelto per interrompere la gravidanza o le eventuali complicanze. Queste informazioni vengono trasmesse alle Regioni, che le integrano con altre informazioni relative al personale, al numero degli interventi eseguiti e all’organizzazione aziendale di ogni struttura.

La raccolta però non restituisce una corretta fotografia del servizio dell’aborto in Italia, per due problemi principali: è lenta e presenta i dati in maniera aggregata. L’ultima relazione, pubblicata l’8 giugno 2022, riferisce i dati del 2020, che sono poco utili per una donna che voglia sapere, ad esempio, quanti medici obiettori ci sono nella sua regione in questo momento. A ciò si aggiunge il fatto che molto spesso le relazioni vengono pubblicate in grande ritardo o con dati preliminari e non definitivi. Il secondo problema riguarda il modo in cui sono raccolti e presentati questi dati: il dato per regione, e non per città od ospedale, è poco utile e fuorviante. Per quanto riguarda il Molise, ad esempio, la relazione segnala un’obiezione dell’83% tra il personale medico. Questo potrebbe far pensare che il 17% dei ginecologici pratichi aborti, ma non è così. Infatti l’unico e ultimo medico che li praticava a tempo pieno, il dottor Michele Mariano del Cardarelli di Campobasso, è andato in pensione e ora resta solo il suo collega, che lavora a tempo parziale.

La relazione annuale può dare un’idea complessiva (seppur parziale) di come stanno le cose, ma non si tratta di uno strumento adeguato per una corretta informazione alla cittadinanza. L’unico modo che ha a disposizione una persona per sapere con certezza quando e dove si può interrompere volontariamente una gravidanza in Italia è inoltrare una richiesta di accesso civico generalizzato, una misura di trasparenza grazie a cui i cittadini possono consultare dati o documenti delle amministrazioni. La bioeticista Chiara Lalli e la giornalista e informatica Sonia Montegiove, con l’associazione Luca Coscioni, hanno cominciato a fare questo immenso lavoro, ora raccontato nel libro Mai dati. Dati aperti (sulla 194). L’obiettivo è quello di creare una mappa con dati aperti, aggiornati e di facile consultazione per permettere alle donne una scelta più consapevole nell’esercizio del loro diritto alla salute. Da queste richieste, le cui risposte sono arrivate spesso con tempi lunghi e dopo l’invio di numerosi solleciti, è emerso che 72 ospedali hanno tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza e 22 ospedali e 4 consultori hanno il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti e personale non medico. In 11 regioni, c’è almeno un ospedale che è segnalato come struttura che pratica aborti ma in cui le prestazioni non vengono svolte. Questo è un altro grande problema della relazione: una struttura può essere segnalata come attrezzata per l’Ivg, ma nella pratica poi gli aborti non si svolgono per mancanza di personale.

Il problema dei dati può sembrare di importanza secondaria, ma è invece vitale. In Italia è impossibile reperire informazioni chiare sull’aborto e la maggior parte delle donne non ha idea di cosa debba fare o dove debba andare se vuole interrompere una gravidanza. Se si cerca “ivg” su Google è più facile essere reindirizzati a un istituto per le vendite giudiziarie che al sito del ministero della Salute. Ma anche quando si approda sul portale del ministero dedicato alla salute della donna, oltre a essere accolti dalla fotografia di una ragazza malinconica che guarda i binari del treno, mancano le informazioni pratiche: a chi mi devo rivolgere per ottenere il certificato? In quale ospedale posso recarmi? Cosa devo fare se nella mia città non c’è una struttura che garantisce la prestazione? Nessuno lo dice. Le uniche alternative sono le mappe create dalle associazioni, dai gruppi femministi o dalle attiviste, che però non dovrebbero essere i soggetti deputati ad assumersi questo compito, visto che un’infrastruttura per raccogliere i dati c’è già.

Se la relazione ci rassicura ogni anno che va tutto bene, non ci sarà mai la volontà istituzionale di cambiare le cose. E le denunce, le inchieste, le testimonianze saranno parole al vento di fronte alla carta bollata del Ministero.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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