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Omicidio Giulia Cecchettin

L’esperto spiega perché si sarebbe dovuta riconoscere a Turetta l’aggravante della crudeltà: “Fare chiarezza”

L’avvocato Daniele Bocciolini a Fanpage.it dopo che a Filippo Turetta, condannato all’ergastolo per l’omicidio Cecchettin, non è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà : “Non comprendo chi sostiene che la motivazione sia corretta perché conforme a un orientamento della Cassazione. Dovrebbe essere riconosciuta solo ad un killer professionista?”.
A cura di Ida Artiaco
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Continuano le polemiche dopo che sono state diffuse le motivazioni con le quali i giudici della Corte d'Assise di Venezia hanno condannato all'ergastolo Filippo Turetta per l'omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto a novembre 2023. Al giovane è stata riconosciuta la premeditazione ma non altre due aggravanti che pure gli erano state contestate, e cioè la crudeltà e la premeditazione. Sulla prima in particolare ci sono stati alcuni che hanno criticato la decisione della Corte. Ta questi c'è Daniele Bocciolini, avvocato penalista, esperto in diritto penale minorile e Scienze Forensi, Consigliere Pari Opportunità e Commissione Famiglia e Minori dell'Ordine degli Avvocati di Roma, che a Fanpage.it ha spiegato perché si sarebbe dovuta riconoscere a Turetta l'aggravante della crudeltà.

Avvocato Daniele Bocciolini
Avvocato Daniele Bocciolini

Avvocato Bocciolini, lei è tra coloro che avrebbe riconosciuto a Turetta l'aggravante della crudeltà. Come mai?

"Rispetto all’aggravante della crudeltà, bisogna fare chiarezza. La circostanza aggravante della crudeltà è prevista dall’art. 61 n. 4 del Codice penale secondo il quale aggrava la pena “l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone”. Le legge non spiega cosa significhi “crudeltà” e questo va specificato bene perché ho sentito inesattezze sul punto. È la giurisprudenza, ovvero l’interpretazione che hanno dato nel tempo i magistrati (che applicano la legge) a spiegare quando questa aggravante risulterebbe integrata".

Cosa significa?

"Secondo l’orientamento maggioritario della Suprema Corte di Cassazione, a partire dal 2015, per integrare questa aggravante servirebbe un “quid pluris”, un qualcosa in più, una condotta che comporti delle sofferenze ulteriori alla vittima. Deve esserci una condotta volta ad infliggere un male aggiuntivo, caratterizzata da spietatezza e sintomatica di un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, moralmente inaccettabile. Ci sono sentenze della Cassazione che sostengono che la mera reiterazione dei colpi, il cosiddetto “overkilling”, non integra l’aggravante della crudeltà se non è accompagnato da “sofferenze ulteriori e gratuite”. Ed è proprio a questo orientamento che si rifà la Corte di Assise. Quello che va compreso è che così come può cambiare la legge nel tempo, a maggior ragione possono cambiare gli orientamenti della Cassazione. Non esistono “dogmi” nel diritto".

Per questo lei è contrario a quanto deciso a Venezia?

"Non comprendo chi sostiene che la motivazione sia corretta perché conforme a un orientamento della Cassazione. Il compito di un Avvocato non è quello di “ratificare” quello che è un orientamento (peraltro nemmeno a Sezioni Unite) della Cassazione ma di tutelare al meglio gli interessi del nostro assistito, anche scardinando un impianto motivazionale. Nè si può parlare di “populismo” se si critica la sentenza – che comunque nel resto è fatta molto bene – sul punto. Nel caso di Turetta, secondo la Corte di Assise, “l‘aver inferto 75 coltellate non si ritiene che tale dinamica, certamente efferata, sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell'imputato ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso: Turetta non aveva la competenza e l'esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e "pulito", cosi ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia "non c'era più". Quello che non mi convince è proprio questo punto: secondo la Corte, pertanto, l’aggravante dovrebbe essere riconosciuta solo ad un killer professionista?

Non solo. Quello che si tralascia è che questo è un delitto premeditato, Turetta aveva predisposto tutto: l’ha legata, bloccata, messa a tacere, colpita prima, poi caricata in macchina. A più riprese. L’ha colpita su ogni parte del corpo, accanendosi sul volto. L’azione è stata poi tutt’altro che rapida essendo durata ben 20 minuti. Non sono soltanto le 75 coltellate a dover essere considerate ma la dinamica complessiva, sintomo di un evidente incrudelimento con volontà di infliggerle sofferenze ulteriori e gratuite. Ha deliberatamente prolungato l’angoscia della vittima, che in quei 20 minuti ha percepito – nel terrore – che stava morendo nel peggiore dei modi. Per questo motivo secondo me a Turetta andava riconosciuta anche l’aggravante della crudeltà. Perché la dinamica non era “funzionale” all’azione omicidiaria ma è andata ben oltre. E ha manifestato tutto il suo sadismo. Nè tale circostanza può essere ricondotta alla “inesperienza” proprio perché è emerso chiaramente che Turetta aveva deliberatamente scelto di far soffrire la povera Giulia, pianificando con lucidità tutto nei minimi particolari".

Cosa ne pensa invece del fatto che non è stata riconosciuta neanche l'aggravante dello stalking?

"Con riferimento all’aggravante dello stalking, purtroppo non posso che condividere la motivazione offerta dalla Corte di Assise. In questo senso andrebbe invece cambiata la legge. Per realizzarsi il delitto di atti persecutori, devono sussistere la reiterazione delle condotte di minaccia o di molestia, ma non bastano. Serve che sulla vittima queste condotte comportino un perdurante e grave stato di ansia o di paura o da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva o ancora da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La vittima in sostanza deve percepire quella “paura” connessa alla condotta posta in essere dallo stalker. Nel caso di specie, Giulia viveva sotto assedio, era oggetto chiaramente di persecuzione ma probabilmente non è emersa la prova di questa paura. Come rilevato dalla Corte, Giulia aveva paura per lui. E non di lui. Per questo motivo l'aggravante non si sarebbe realizzata. Su questo, e posso dirlo dato che assisto tante donne vittime di violenza, bisogna lavorare tanto, perché troppo spesso si sottovaluta il pericolo. Ed è poi anche difficile dimostrarlo in tribunale. La maggior parte delle vittime, oltre a sottovalutare quei segnali, entrando nella parabola della violenza, sono spesso portate a “giustificare” il proprio aguzzino. Per questo andrebbe cambiata la legge. La prova non può incombere sulla vittima".

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