“Lavoriamo 12 ore al giorno, se riposiamo ci tolgono 50 euro”, la rivolta delle grucce a Prato
“Vogliamo una vita bella”: così recitano i loro cartelloni, nei presidi sparsi nel comparto delle grucce di Prato e Montemurlo. Così chiedono anche loro, senza paura di esporsi davanti a una telecamera. Sono i lavoratori di una delle tante filiere che compongono il pronto moda di Prato, ormai quasi integralmente in mano cinese.
Prato è un punto di riferimento in Italia e nel mondo per la produzione dei tessuti, con le sue oltre 4mila ditte sul territorio che ogni anno producono e smistano decine di tonnellate di capi di abbigliamento e tessuti. Una macchina di produzione gigantesca, ma anche, a sentir parlare gli operai in sciopero dal 6 maggio, mostruosa. In grado di schiacciare tra i suoi ingranaggi gli elementi più deboli che la compongono.
Tra questi ci sono persone come Iltaf, Atiq e Azmat: uomini adulti di tutte le età, che da dieci giorni scioperano sostenuti dal sindacato Si Cobas per rivendicare quelli che in Italia (Repubblica fondata sul lavoro) sono o almeno dovrebbero essere dei diritti di base garantiti per tutti, come la giornata lavorativa di otto ore, i giorni di riposo, contratti regolari.
Niente di tutto questo per questi operai arrivati ormai da anni dal Pakistan e dal Senegal, che parlano a stento la nostra lingua non per pigrizia, ma per mancanza di tempo per studiarla. “Lavoriamo per dodici ore al giorno sette giorni su sette, senza ferie né malattia”, denunciano all’unisono.
Partite dalla Digi Accessori di Chen Bixia, impresa individuale che si occupa dello smistamento delle grucce prodotte a Prato, le proteste si sono diffuse nel giro di pochi giorni in altre tre aziende, tutte legate al mondo delle grucce.
“In seguito alle prime interlocuzioni con la Digi” racconta Luca Toscano di Si Cobas “l’azienda ha svuotato i suoi magazzini e trasferito uffici e carichi di lavoro in un’altra ditta del comparto, che invece si occupa della produzione delle grucce”. Secondo il sindacalista, ci sarebbe un rapporto molto stretto tra queste varie realtà, definite alla stregua di un “cartello”.
Così, nei giorni scorsi le proteste si sono spostate davanti ad altre fabbriche del pratese, ed è di fronte a una di queste che abbiamo incontrato diversi lavoratori in presidio. Oltre a denunciare “turni massacranti”, due di loro – Atiq e Iltaf – ci hanno mostrato i segni evidenti sul loro corpo degli infortuni subiti a lavoro. Atiq ha perso parte della falangetta del dito medio, dopo “esserselo schiacciato mentre guidava un "muletto" (macchinario atto allo spostamento merci, n.d.r.). Iltaf mostra invece un grosso rigonfiamento all’altezza della nuca: “Me lo sono fatto durante un’operazione di carico e scarico di alcune scatole. Me n’è caduta una sul collo, era molto pesante. Sono finito all’ospedale, ma non ho avuto un giorno pagato di malattia”. Anzi: Iltaf denuncia che, a causa del tempo passato a casa per riprendersi, gli è stato decurtato lo stipendio. “Non lavori, non guadagni”: è questo il vecchio ritornello.
“Gli scioperi partiti dalla Digi hanno così scoperchiato il sistema su cui si fonda questo comparto, ma non solo”, evidenzia Luca Toscano, secondo cui “a Prato le cose funzionano così da anni, tutti lo sanno, ma girano la testa dall’altra parte, perché di fatto conviene a tutti e fa guadagnare tutti, produttori, committenti e clienti”.
Conviene a tutti, tranne ai più deboli. A chi, come Atiq, Iltaf, Azmat e molti altri non ha il permesso di soggiorno, oppure ce l’ha, ma sempre da rinnovare. A chi ha bisogno di lavorare e non può permettersi di perdere il lavoro perché deve mandare i soldi a casa.
E questo, alcuni esponenti cinesi dell’imprenditoria pratese lo sanno molto bene. Lo sapevano gli otto che, lo scorso ottobre, hanno picchiato con mazze da baseball i lavoratori in sciopero davanti alla Dreamland (ditta di abbigliamento). E lo sapevano anche quelli che avrebbero minacciato sabato scorso un altro operaio del Macrolotto, venuto a portare sostegno ai lavoratori delle grucce.
Si Cobas denuncia che due auto con a bordo sette o otto persone lo hanno seguito, per poi accerchiarlo munite delle solite mazze e spranghe. “Per fortuna il lavoratore è riuscito a sfuggire al pestaggio e ci ha chiamati immediatamente, terrorizzato”, riporta Toscano. Nessuno di loro è stato identificato.
“Questi sono gli effetti prodotti dai tagli sulla manodopera e dalla deregolamentazione dei vari settori del pronto moda a Prato. In questo ambito, Prato è considerabile come un Comune a statuto economico speciale”, considera ancora Toscano.
Mentre proseguono gli scioperi e le proteste, nella giornata di martedì 17 maggio due delle quattro aziende coinvolte negli scioperi, tra cui la stessa Digi, hanno aperto tavoli di trattative con il sindacato, giungendo ad accordi favorevoli per i lavoratori, che prevedono l’assunzione con contratti a tempo pieno e indeterminato e il riconoscimento dei diritti basilari dei lavoratori. Interpellata da Fanpage.it, la Digi ha negato, tramite il suo legale, di aver mai sfruttato i lavoratori.
“Del resto – argomento l’avvocato Veltri – la materia discussa all’intero dell’accordo non era certo quella del presunto sfruttamento, ma il passaggio da contratti part-time a contratti a tempo pieno e indeterminato, cosa a cui l’azienda è stata favorevole”.
Soddisfatto del risultato il sindacalista Luca Toscano: “Credo che queste proteste stiano facendo bene ai lavoratori, perché danno loro speranza”. “Speranza di cosa?”, gli chiediamo.
“Di una cosa molto semplice, che è quella che i lavoratori hanno iniziato a scrivere nei cartelli: la speranza di una vita bella. E non di una vita passata a lavorare, mangiare e dormire”.