Lavoratori in nero e Covid, parla Rosa: “Io, domestica, non lavoro più per paura del contagio”
Rosa (nome di fantasia) vive in provincia di Latina, ha 45 anni e lavora come domestica. Sono circa 10 anni che si dedica a questo lavoro: ormai ha un discreto giro di clienti di fiducia che le vale quasi come un contratto a tempo indeterminato, sebbene i suoi guadagni siano purtroppo in nero. Nessuno l'ha mai lasciata a casa perché le sue referenze sono sempre state ottime: ha fatto da babysitter e da domestica, a volte anche contemporaneamente. Con molta fatica è riuscita a garantire un futuro al suo bambino attualmente iscritto alle scuole medie, ma il Covid ha cambiato tutte le carte in tavola. Con la prima ondata e il lockdown, è stata costretta a rimanere a casa e gli unici aiuti economici sono arrivati dai suoi genitori. Adesso, però, il suo lavoro risente della paura del contagio.
"Lavoravo per tante famiglie – spiega Rosa che vuole restare anonima per evitare che suo figlio la riconosca in queste righe – e alcune di loro erano praticamente amiche di vecchia data ormai. Quando lavoravo portavo mio figlio a giocare con i bambini di chi mi pagava e spesso e volentieri ci regalavano vestiti o giocattoli. Era come se avesse tanti genitori e io mi sentivo tutelata nonostante il nostro tenore di vita non fosse il più agiato. Il Covid ha cambiato tutto: di almeno 5 famiglie per le quali lavoravo mi hanno richiamata soltanto 2 di loro dopo il lockdown". Di motivazioni Rosa ne ha sentite tante. La prima è l'evidente disagio economico causato dalla pandemia a tutti i cittadini italiani. "Mi hanno detto che mi avrebbero richiamata quando le acque si sarebbero calmate e io cosa avrei dovuto fare? Ho risposto che andava bene, un po' in virtù dell'amicizia che ci legava e un po' perché non potevo permettermi di precludermi quella possibilità" racconta ancora a Fanpage.it. La seconda motivazione è quella che ultimamente si sente ripetere più di frequente: "Non è sicuro chiamare estranei in casa per la salute dei nostri figli".
La paura del contagio
Così Rosa ha aspettato e lentamente una delle due famiglie che aveva continuato a farla lavorare, l'ha lasciata a casa. "C'è stato un falso allarme, una persona ha avuto contatti con un positivo e questo ha spaventato un po' tutti. Ho aspettato l'esito del tampone insieme a loro e quando è risultato negativo mi sono detta che era stato solo un grande spavento e che sarei tornata a lavorare. Invece qualche giorno dopo mi hanno chiamato per dirmi che quella paura li aveva messi in guardia e che, come al solito, non era sicuro che io entrassi in altre case e poi andassi da loro. Ho provato a raggiungere un compromesso, ma non c'è stato niente da fare".
Rosa racconta che sarebbe stata disposta a tutto pur di mantenere quel lavoro. Anche a mentire. "Non sono molto fiera di questa cosa, però avevo addirittura pensato dire una bugia, di assicurare che sarei andata soltanto da loro, però non ho avuto neppure il tempo di fornire questa rassicurazione. Non c'è stato nulla da fare e mi è rimasta una sola famiglia che mi chiama quando può e mi paga quello che può. Lo fa principalmente per me e per mio figlio e so che è quasi un'elemosina, ma cosa dovrei fare? Dire di no? Sono molto preoccupata".
Al telefono, Rosa racconta che la sua principale paura è per suo figlio. "Il mio bambino non sa molto di quello che sta succedendo. Viviamo con i suoi nonni che però vivono con una pensione minima. Non dormo più, ho paura che qualcuno si accorga che non posso mantenere mio figlio da sola e che me lo porti via. Probabilmente è una paura irrazionale, ma non poterla condividere con nessuno mi logora. Il nuovo dpcm è un altro colpo per me: quella nota apparentemente innocua che sconsiglia estranei in casa per me vuol dire che sarà molto più difficile riprendere i miei ritmi di lavoro, forse addirittura tenermi questa famiglia".
Lavoratori in nero
L'emergenza Covid, soprattutto con l'impatto devastante della prima ondata, ha colpito duramente la categoria dei lavoratori in nero. Il lavoro senza contratto rappresenta un fenomeno sommerso dai numeri spaventosi in Italia e la mancanza di tutele ha reso il ritorno alla vita normale più difficile del previsto. Molti hanno perso l'incarico, altri sono tornati nei ranghi di datori di lavoro incuranti delle necessarie tutele igienico-sanitarie.
I lavoratori in nero secondo l'Istat sono 3,3 milioni ed entro la fine dell'anno molti dei lavoratori a contratto rischiano di perdere il posto per essere assorbiti dalle file dell'economia sommersa. A livello territoriale, le regioni del Mezzogiorno sono quelle maggiormente interessate dall'abusivismo e dal lavoro nero. Al primo posto abbiamo la Calabria (21,6%), seguita dalla Campania (19,8%), Sicilia (19,4%), Puglia (16,6%) e Lazio (15,9%). La media nazionale è pari circa al 13,1%.