Scemi noi che non ci abbiamo pensato, che il riscaldamento globale è colpa dei cammelli selvatici. Bevono troppo, e in Australia ci sono siccità e incendi da spegnere. Scoreggiano troppi gas serra, e in Australia ci sono temperature da record. E si riproducono troppo, bontà loro, invece che estinguersi senza fiatare come gli educatissimi koala.
Farebbe ridere, fossimo in una commedia dell’assurdo. E invece no, signori. È la realtà, anno del signore 2020, che ci consegna l’estremo sacrificio di 10mila cammelli selvatici, immolati sull’altare della salvezza di un Paese che brucia ininterrottamente da settembre, e che brucerà ancora di più nei prossimi mesi, che si annunciano caldissimi. 10mila cammelli, fatti fuori da una squadra di cecchini professionisti aviotrasportati, manco fossimo in Vietnam, a partire dai prossimi giorni.
Ironia della sorte, il destino di quei poveri quadrupedi – problematici finché si vuole per l’habitat australiano – sarà vano. Anche con diecimila cammelli in meno, l’Australia continuerà a bruciare, il clima a surriscaldarsi, l’acqua a scarseggiare, le specie animali a estinguersi, perché la colpa di quanto accade è tutto dell’uomo.
E forse qualcuno dovrebbe dirlo, al premier sovranista Scott Morrison e agli altri piccoli Bolsonaro del governo australiano, che ridurre le emissioni umane di gas serra, potrebbe servire a mitigare le temperature più di qualche proiettile tra le gobbe dei cammelli. E che se diminuisse lo spreco di risorse idriche magari potremmo spegnere gli incendi e dissetare pure qualche migliaia di mammiferi.
E che gli accordi di Parigi da cui l’Australia si è ritirata con sdegno trumpiano servivano – e servono – esattamente a questo: a evitare che l’Australia finisse prigioniera delle fiamme innescate dai suoi piccoli piromani. A proposito, giusto oggi ne hanno arrestati 180, 40 dei quali minorenni. Che facciamo, Aussie: cecchini pure per loro?