Parricidi, matricidi, parenticidi. Storie di figli che uccidono i propri consanguinei. Storie di vittime e carnefici. Storie di mura domestiche ove la violenza scoppia fino a diventare assassina. Proprio all’interno delle famiglie, luoghi che dovrebbero essere di accoglienza, di incontro e capaci di conservare gli affetti più sicuri.
Ma allora perché i figli uccidono? Le variabili che conducono all’omicidio di uno o di entrambi i genitori possono essere le più disparate. Per questo non può farsi un ragionamento unitario. Si rischierebbe di generalizzare dinamiche complesse che invece richiedono un’indagine nella storia personale del singolo.
Ciò che è ammissibile, invece, è l’inquadramento delle evoluzioni più frequenti.
Il movente
Pietro Maso, Erika ed Omar, Benno Neumair, Marco Eletti, Elena Gioia, Silvia e Paola Zani. Che cosa induce un figlio ad uccidere chi l’ha generato?
Come si evince dai casi saliti anche recentemente agli onori della cronaca, è possibile affermare come dietro simili gesti estremi vi siano interessi economici, la necessità di eliminare chi ostacola una relazione amorosa, il bisogno di porre fine ai contrasti familiari.
Le abitudini consumistiche della società in cui viviamo molto spesso portano ad instaurare rapporti, anche all’interno della famiglia, non basati sull’amore bensì su bisogni egoistici.
Un vero e proprio “consumismo di emozioni” che ha privato le nuove generazioni del culto della pazienza e del sacrificio.
Dunque denaro, frustrazione, drammi familiari che sfociano in delitti efferati tra consanguinei. Figli prima che di assassini. Figli che, nella loro visione distorta, percepiscono l’eliminazione fisica del genitore (o di entrambi) come l’unico modo per eliminare il problema.
Ancor più nel dettaglio, lo scenario in cui maturano i parenticidi è tendenzialmente contraddistinto da conflitti irrisolti, situazioni familiari difficili nelle quali l’omicidio appare l’unica soluzione possibile per liberarsi di un peso.
Il figlio non si riconosce più all’interno del proprio nucleo familiare, tende ad isolarsi, ad avere un precipitoso rendimento scolastico, a perdere il lavoro e inizia a fare uso di alcol e droghe.
Per questa ragione, salvo la presenza di patologie psichiatriche conclamate, l’omicidio di uno o di entrambi i genitori è quasi sempre preceduto da un litigio violento.
Ma non è causato da un raptus. Al contrario, è frutto di una scelta ponderata che affonda le proprie radici in una più radicata crisi identitaria. Ragioni, queste, che non giustificano nessun tipo di aggressione, tantomeno un omicidio.
Ma quel che è capace di tratteggiare confini ancor più inquietanti della morte di un genitore per mano di un figlio è il distacco emotivo che spesso viene attuato dopo la consumazione del delitto.
Si esce, ci si fa una doccia, si va a cena a casa di un’amica – come ha fatto Benno Neumair, per citarne uno – o si va in discoteca.
Si tratta di un meccanismo di difesa inconscio finalizzato a ritardare la consapevolezza della drammaticità di quanto commesso. Consapevolezza che, per non crollare psicologicamente, viene acquisita dal soggetto soltanto dopo mesi, giorni o addirittura anni.
Diverso, come accennato, il caso in cui chi si macchia del più orribile dei crimini è un soggetto affetto da disturbo psichiatrico. In un simile caso, difatti, l’atto aggressivo è conseguenza della schizofrenia o della psicosi e quindi scaturisce da un raptus.
Gli adolescenti che uccidono
Particolare attenzione merita il parenticidio compiuto dagli adolescenti.
L’adolescenza è per definizione una delicata porzione di vita nella quale i figli attuano gesti di ribellione, non vogliono regole e mettono continuamente in discussione le figure genitoriali.
Ma per comprendere dove affondino le radici dell’omicidio consumato per mano dei giovani è necessario indagare nel loro sviluppo psichico.
La tempesta adolescenziale porta questi ultimi a vivere di impulsi e per questo, se qualcosa si è inceppato nel rapporto con le figure adulte di riferimento, è verosimile che la rabbia ed il senso di inadeguatezza sfocino nel più estremo dei delitti.
I confini psichici diventano infatti labili e la diretta conseguenza è il passaggio tra “questi sono i miei genitori” a “questi sono coloro che mi stanno rovinando la vita”. Gli adulti diventano così un bersaglio da eliminare e distruggere per il raggiungimento della propria felicità. Sicuramente effimera, fugace ed apparente.
Quando l’assassino è il sangue del tuo sangue
Dall’inizio del 2021 sono stati molteplici i casi di figli che hanno ucciso chi ha donato loro la vita.
Il primo in ordine di tempo è quello consumato per mano di Benno Neumair, che il 4 gennaio scorso ha ucciso i genitori Laura Perselli e Peter Neumair gettandoli poi nel fiume Adige. “Mi ha dato del fallito per questo ho ucciso mio padre”, la giustificazione del trentenne bolzanino.
Poco dopo si sono consumati l’omicidio di Avellino e quello di Reggio Emilia.
Nel primo caso, Elena Gioia, 18 anni, ha pianificato di uccidere l’intera famiglia insieme al suo fidanzato, Giovanni Limata, di pochi anni più grande. La sera del 23 aprile quest’ultimo è entrato nell’abitazione della ragazza ed ha inflitto 12 coltellate al padre mentre dormiva sul divano. Le sue urla di dolore hanno consentito alla madre e alla sorella, che dormivano al piano di sopra, di salvarsi.
Il movente? I genitori della diciottenne non approvavano la relazione con Limata. La sua famiglia, quindi, rappresentava un ostacolo.
Scrive Elena qualche giorno prima dell’omicidio “Quando li uccidiamo?”. “Lo faccio perché li odi” risponde il ragazzo.
Ancora. È il 24 aprile quando Marco Eletti, 33 anni, noto scrittore di thriller, chiama le forze dell’ordine dichiarando di aver preso a martellate il padre e ferito gravemente la madre. Alla base dell’estremo gesto la volontà di beneficiare dei proventi derivanti dalla vendita di due appartamenti di proprietà dei genitori. Ancora un movente patrimoniale.
Infine, ma verosimilmente solo in ordine di tempo, la cronaca degli ultimi giorni.
Nella giornata di ieri sono state arrestate le figlie di Laura Ziliani, 26 e 19 anni, insieme al fidanzato dalla maggiore. I preliminari accertamenti tossicologici condotti sul corpo dell’ex vigilessa scomparsa lo scorso 8 maggio hanno constatato la presenza di benzodiazepine. Dunque, morte per avvelenamento.
Anche in questo caso, pur rispettando le doverose garanzie costituzionali, le figlie ed il fidanzato di una di queste si sarebbero determinati ad uccidere la madre mossi da un movente esclusivamente economico: l’intenzione di entrare in possesso dell’intero patrimonio familiare. Anche se, stando ai continui colpi di scena, il finale di questa inquietante vicenda, è ancora tutto da scrivere.
Volgendo al passato, invece, torna alla mente Pietro Maso che nel 1991, non ancora ventenne, uccideva entrambi i genitori con la complicità di due amici. La ragione? La volontà di entrare in possesso anticipato della sua porzione di eredità. Maso è in libertà dal 2015.
Così come in libertà sono Erika de Nardo e Omar Favaro. I fidanzati di Novi Ligure che, il 21 febbraio 2001, hanno ucciso madre e fratellino di lei perché i genitori non approvavano la loro relazione. Erika ed Omar avrebbero voluto uccidere solo la madre Susy ma il fratello Gianluca, scoperto il loro piano criminale, era diventato un testimone scomodo. Lo hanno così rincorso e ucciso in bagno con un numero indefinito di coltellate. Nell’immediatezza dei fatti i due hanno anche provato ad inscenare una rapina finita male.