L’ambasciatrice palestinese a Fanpage.it: “L’Italia vende a Israele le armi con cui ci massacrano”
Abeer Odeh, ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia, ci risponde dal suo ufficio di Ramallah, in Cisgiordania. Fuori, nelle strade e nelle piazze, migliaia di cittadini palestinesi stanno manifestando contro i bombardamenti nella Striscia di Gaza, l'occupazione illegale dei territori palestinesi da parte dei coloni israeliani e per la fine dell'apartheid: "Mentre vi parlo nella Striscia di Gaza si contano almeno 225 morti, tra i quali circa 65 bambini, una quarantina di donne e una ventina di anziani oltre a migliaia di feriti, centinaia di case distrutte e migliaia di sfollati. Quello che sta avvenendo è un massacro e a farne le spese sono soprattutto innocenti", chiarisce l'ambasciatrice.
Già la scorsa settimana, a due giorni dall'inizio dell'offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, Abeer Odeh aveva lanciato un appello affinché la società civile solidarizzasse "con le vittime e non con i carnefici". Chi siano gli uni e gli altri lo dicono prima di tutto i numeri; secondo l'OCHA, l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, dal gennaio 2008 ad oggi i palestinesi uccisi sono stati 5.744, il 71% dei quali nella Striscia di Gaza. I feriti sono stati oltre 123mila, molti dei quali hanno riportato danni permanenti. Sempre secondo l'OCHA da gennaio 2008 a dicembre 2020 gli israeliani uccisi sono stati 251, per lo più militari o coloni. I numeri dicono che per ciascun israeliano morto sono stati uccisi 23 palestinesi.
Partiamo da qui, dal racconto che in questi giorni inverte i ruoli di vittime e carnefici. Secondo molti media italiani i raid aerei israeliani sono una risposta al lancio di razzi dalla Striscia di Gaza da parte di Hamas. È così?
Occorre ripristinare la verità dei fatti e collocarli in un contesto generale più ampio. La miccia è stata accesa da Israele, che ha cacciato le famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme est per assegnarle ai coloni; un atto di pulizia etnica illegale e inaccettabile a cui è seguita la profanazione di un luogo sacro durante il Ramadan, ovvero l'irruzione di polizia e militari israeliani nella moschea di al-Aqsa, la terza più importante al mondo. Si tratta di azioni violente e offensive alle quali, comunque, i palestinesi in prima battuta hanno replicato pacificamente. Le violenze di Israele però sono proseguite.
Due giorni fa i cittadini palestinesi hanno indetto uno sciopero generale in Cisgiordania e nelle città israeliane. Com'è andata?
Sì, il 18 maggio ci sono stati scioperi e manifestazioni di palestinesi in molte città sia della Cisgiordania che di Israele. Anche in questo caso ci sono state delle vittime: tre persone sono state uccise a Ramallah e altre due a Nablus ed Hebron. Anche se siamo consapevoli che non tutti gli israeliani sono favorevoli alla nuova guerra a Gaza non abbiamo notizie di scioperi in solidarietà con i palestinesi, ma giorno dopo giorno aumentano in tutto il mondo manifestazioni a nostro favore. Per noi è molto importante, significa che le nostre ragioni vengono considerate legittime.
Non solo bombe. Storici (come l’israeliano Ilan Pappé) e autorevoli ONG (come Human Right Watch) parlano anche di pulizia etnica e apartheid.
Sono concetti corretti. La pulizia etnica dei palestinesi ha avuto inizio nel 1948, è proseguita poi nel 1967, quando vennero costruiti molti insediamenti israeliani sulle terre palestinesi, ed è in corso tuttora. Va considerato un atto di pulizia etnica anche la cacciata – nelle scorse settimane – degli abitanti palestinesi di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme, ad opera di coloni israeliani. Si tratta, va specificato, di atti illegali e contrari al diritto internazionale, ma mentre i leader mondiali fanno a gara nel puntare il dito contro i palestinesi, tacciono sistematicamente nei confronti dei crimini di Israele. Ma parliamo anche di apartheid: ad accusare Israele di praticare la segregazione dei palestinesi non siamo solo noi e l'ONU, ma anche Human Right Watch e la più importante ONG israeliana, B'Tselem. È stato chiesto innumerevoli volte ad Israele di finirla con le continue violazioni del diritto internazionale, ma ha sempre continuato nel silenzio della comunità internazionale.
Una settimana fa i leader dei principali partiti italiani hanno solidarizzato tutti insieme a Roma con Israele. Cosa pensa di quella manifestazione unitaria?
La trovo molto triste. L'impunità di Israele è garantita dalla comunità internazionale e da tutte le leadership mondiali. Avrei voluto vedere – almeno questa volta – i leader dei partiti italiani dalla parte delle vittime, cioè dei palestinesi. Avrei voluto vederli fare pressioni su Israele affinché si assuma le responsabilità dei suoi crimini ponendo fine all'occupazione e ai bombardamenti, rispettando i diritti umani e obbedendo alle risoluzioni dell'ONU, documenti che tra l'altro sono sempre stati votati anche dall'Italia così come da gran parte degli altri paesi del mondo. Peccato che però nessuno di loro abbia mai fatto vere pressioni sui governi israeliani affinché si conformino a ciò che quelle risoluzioni chiedono. Avrei voluto che i leader dei partiti italiani chiedessero con forza la fine del colonialismo e delle politiche di apartheid. Invece si sono schierati dalla parte di Israele anche questa volta.
Mentre i leader dei partiti hanno solidarizzato con Israele la società civile ha riempito le piazze di migliaia di bandiere palestinesi. Cosa possono fare i cittadini italiani per sostenere i diritti dei palestinesi? Quali sono le iniziative concrete che possono essere messe in campo?
È vero, migliaia di cittadini italiani sono scesi in piazza per chiedere la fine dell'occupazione israeliana e dei bombardamenti sui civili nella Striscia di Gaza; pensiamo che queste manifestazioni siano molto importanti perché rappresentano una forma di pressione sul governo italiano affinché chieda a Israele di fermare il massacro di bambini, donne e anziani innocenti, ma anche la fine dell'occupazione illegale delle terre dei palestinesi. Crediamo che i cittadini italiani possano darci una grande mano chiedendo al governo e ai partiti che venga riconosciuto lo stato di Palestina e messa subito in pratica la soluzione dei due popoli, due stati. Esiste poi un'altra iniziativa legale e pacifica: la campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani. Da sola, però, non basta.
In violazione di una legge – la n. 185/90 – che vieta esplicitamente l’esportazione di sistemi militari verso i Paesi in stato di conflitto armato l’Italia da circa un decennio è tornata ad incrementare le vendite di sistemi d’arma verso Israele. Cosa ne pensa? L'Italia dovrebbe attuare un embargo militare verso Israele?
Naturalmente sì. Negli ultimi anni l'Italia, come molti altri paesi del mondo, ha venduto a Israele armi, bombe, missili, aerei e elicotteri da guerra. Ogni arma venduta a Israele è un'arma fornita a una forza di occupazione e impiegata per uccidere palestinesi: lo dimostrano i fatti di questi giorni ed è impossibile sostenere il contrario. Penso che per raggiungere pace e prosperità per il nostro popolo, per costruire un luogo sicuro per i nostri bambini, l'approccio dovrebbe essere diverso. Si stanno fornendo armi agli occupanti: ma per fare cosa?