Di Martina Comparelli e Valerio Renzi
Siamo dentro la crisi climatica. Ce l’hanno detto, ce lo siamo detto tra noi, alcuni hanno protestato, altri hanno negato (e continuano a farlo). Qualcuno lavora per mettere in campo davvero delle soluzioni, la maggior parte di chi detiene il poter semplicemente non ha fatto nulla.
Sta di fatto che, dopo tanto parlare, le manifestazioni del cambiamento climatico hanno raggiunto anche noi. Mentre i paesi del Sud globale, i più colpiti dal cambiamento climatico, non hanno né le nostre responsabilità a livello internazionale né le nostre risorse economiche, l’Italia ha avuto relativamente più tempo per prepararsi.
Il nostro paese è quello che viene chiamato un hotspot climatico, è soggetto allo stesso tempo a processi di desertificazione, ma è anche a rischio di inondazioni e alluvioni. Lo dicevano gli scienziati del clima, mentre chiedevano ai governi italiani di lavorare a raggiungere gli obiettivi azzeramento delle emissioni, e a mettere subito in atto misure di adattamento quando le previsioni di ciò che sarebbe accaduto si sono dimostrate via via più precise.
Non è stato fatto, letteralmente, niente. Il Governo della destra metterà in campo l’ennesimo decreto d’emergenza, intervenendo a disastro avvenuto. L'Emilia Romagna governata da sempre dal centrosinistra, dal canto suo, ripenserà finalmente un modello di sviluppo basato su fonti di energia fossile (pensiamo all'hub del gas di Ravenna in costruzione) e al cemento? Vedremo.
Nella più ottimista delle ipotesi una parte dell'opinione pubblica, dei commentatori e della politica, di fronte all'alluvione va dicendo che “questa è la nuova normalità”. Nella peggiore si continua a sostenere che è un evento sicuramente fuori dal normale, ma non c'è niente di nuovo. Un atteggiamento che possiamo sintetizzare con le parole del capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato Lucio Malan: "Il cambio climatico non è un dogma. Non è vero che sono fenomeni mai visti negli ultimi decenni".
Se il negazionismo o il relativismo climatico portano all'inazione, il primo atteggiamento potrebbe portare alla messa in campo di azioni di resilienza e adattamento, comunque importanti, ma non sufficienti. L'idea che questa è la nostra nuova normalità è falso ma rassicurante, ci dà l'idea che tutto sommato con un po' di opere d'ingegneria e cambiando qualcosa nel nostro modello di sviluppo sul territorio possiamo andare avanti come prima. Ma quella che stiamo vivendo non è una nuova normalità, è l'inizio di uno sconvolgimento che non sappiamo dove andrà finire, soprattutto se non raggiungiamo la neutralità climatica (ovvero se la transizione ecologica non la facciamo davvero).
Pensare di adattarci a questa nuova normalità dunque, potrebbe essere ancora più fatale di aver creduto che i cambiamenti climatici non sarebbero mai arrivati davvero.
Facciamo qualche calcolo. Secondo la comunità scientifica dovremmo mantenere l’aumento delle temperature a 1.5° sopra i livelli pre-industriali per evitare il peggioramento degli eventi atmosferici estremi. Questo è anche uno degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, uno dei risultati più importanti delle Conferenze delle Parti (COP) delle Nazioni Unite sul clima. Più precisamente, l’Accordo si impegna a mantenere “l'aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l'azione volta a limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali”. La scienza ci ricorda continuamente che ogni decimo di grado conta e, di conseguenza, tra il mantenere l’aumento a 1.5° o accettare di essere sotto i 2° c’è una bella differenza.
Nonostante l’Accordo e nonostante l’utilizzo di energie pulite rispetto ai combustibili fossili sia effettivamente cresciuto, gli attuali progetti dei vari Paesi ci proiettano verso un riscaldamento di 3° entro il 2100. Se già gli scienziati ci avvisano che l’aumento di 2° avrà conseguenze disastrose, immaginate la devastazione che porterà un aumento di 3°.
Per avere un’immagine più chiara, guardate le testimonianze di ciò che sta accadendo in questi giorni in Romagna e considerate che fino ad ora abbiamo toccato “soltanto” 1.2° di riscaldamento. Di fronte a questo tipo di evidenza, dire che questa è la nuova normalità non è la realtà del nostro prossimo futuro.
Non è realistico perché, anche se in questo esatto momento cessassimo improvvisamente di estrarre e bruciare combustibili fossili, i gas serra che abbiamo già emesso in atmosfera continuerebbero in parte ad influire su alcuni cicli naturali tramite i cosiddetti “meccanismi di retroazione". Gli eventi che viviamo oggi quindi sono solo l’inizio.
Ogni decimo di grado di riscaldamento che evitiamo fa la differenza. Smettere subito di estrarre e bruciare combustibili fossili è esistenziale, risparmierebbe l’estinzione di tantissime specie e salverebbe la vita a milioni di persone e limiterebbe lo sconvolgimento del paesaggio umano a cui siamo abituati. Ed è esattamente quello che chiedono i movimenti per la giustizia climatica con le loro azioni e mobilitazioni, con la disobbedienza civile e con le manifestazioni e gli scioperi degli studenti.
La sola resilienza non è più un'opzione, o forse non lo è mai stata. Cambiare ora il nostro modello di sviluppo ora è l'unica soluzione.