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Laila, morta sul lavoro schiacciata da una macchina: c’è un secondo indagato, il nipote del titolare

Laila El Harim, l’operaia di 40 anni che martedì mattina è morta dopo essere stata schiacciata dalla fustellatrice a cui lavorava alla Bombonette – azienda di packaging di Camposanto (Modena) – si sarebbe spesso lamentata del malfunzionamento del macchinario che l’ha uccisa con i suoi familiari e i tecnici dell’azienda. Due persone indagate: il legale rappresentante e suo nipote, responsabile per la sicurezza.
A cura di Davide Falcioni
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Laila El Harim, l'operaia di 40 anni che martedì mattina è morta dopo essere stata schiacciata dalla fustellatrice a cui lavorava alla Bombonetteazienda di packaging di Camposanto (Modena) – avrebbe più volte segnalato il malfunzionamento del macchinario che l'ha uccisa ai tecnici e ai suoi responsabili nel reparto. Il legale della famiglia, l'avvocato Nicola Termanini, ha invece smentito il fatto che la lavoratrice avesse fotografato la fustellatrice, come riferito stamattina da diverse fonti: "È falso che la ragazza avesse scattato con il cellulare fotografie al macchinario" a cui è rimasta intrappolata senza avere scampo. Quello che non è stato invece smentito è che Laila si fosse sfogata delle condizioni della macchina anche il suo compagno Manuele Altiero – con cui si sarebbe dovuta sposare il mese prossimo: "Se ne lamentava spesso. Diceva che la fustellatrice si bloccava, che non andava. E spesso dovevano intervenire gli elettricisti". Ora di quei guasti ricorrenti si dovrà occupare anche la Procura di Modena che ha già aperto un fascicolo per omicidio colposo nel quale sono indagate due persone: oltre al legale rappresentante della fabbrica è indagato da oggi anche suo nipote, responsabile della sicurezza.

Ai magistrati, attraverso una serie di perizie tecniche, spetterà accertare se vi sia una correlazione tra la morte dell'operaia e il presunto malfunzionamento della fustellatrice: gli inquirenti esamineranno anche il diario personale di Laila, dove appuntava non solo fatti strettamente privati ma anche l'andamento delle sue giornate lavorative. Secondo Manuele Altiero, tuttavia, tra quelle pagine non ci sarebbero riferimenti specifici ma solo appunti generali. Nel frattempo Monica Rustichelli, avvocata della famiglia della vittima, ha dichiarato che in caso di necessità nominerà dei periti tecnici "per esaminare il macchinario". Gli investigatori adesso stanno cercando di capire perché il sistema di sicurezza fosse attivabile solo manualmente e non fosse, invece, automatico. Del caso ha parlato anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando, durante il question time di ieri, spiegando che "tutti i controlli del mondo" non servirebbero "se fosse vero quello che emerge dalle prime indagini". Parole molto dure che farebbero immaginare responsabilità importanti tra i titolari dell'azienda: "Se una macchina durante il controllo risulta idonea, ma poi viene disattivato il suo dispositivo di sicurezza, tutto gli sforzi vengono vanificati".

La mamma di Luana D'Orazio: "La morte di mia figlia non ha insegnato niente"

Sulla vicenda è intervenuta, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, la signora Emma Marrazzo, madre di Luana D'Orazio, la 22enne morta il 3 maggio, risucchiata da un orditoio nell'azienda tessile di Montemurlo (Prato) dove lavorava. "Vedo che la morte di mia figlia non ha insegnato niente a nessuno. Sono rimasta malissimo perché si rinnova il mio dolore e penso a chi resta. Da tre mesi a questa parte non è cambiato proprio niente: non è possibile, questo è troppo. Così si distruggono le famiglie, sono ingiustizie che non devono succedere. Un controllo ai macchinari di queste fabbriche cosa costa ai datori di lavoro? Una vita umana non ne vale la pena? Se fosse successo ai loro figli, cosa hanno fatto al posto nostro?".

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