La vita degli orfani rinchiusi nei manicomi d’Italia prima della legge Basaglia
Non avere una famiglia bastava per entrare in manicomio. Lo sa bene Mario Basso, finito in uno dei padiglioni del Racconigi a Cuneo solo perché sua madre lo aveva abbandonato ancora in fasce. Mario, classe 1939, Nel dopoguerra i bambini rimasti soli erano tantissimi, gli orfanotrofi non avevamo abbastanza posti per tutti. Bastava essere un po’ taciturno, avere qualche difficoltà nel mostrare le proprie emozioni per essere considerato idoneo per il manicomio. E senza mamma e papà lì fuori, le possibilità un giorno di uscire erano pressoché inesistenti.
Una vita tra quattro mura
Un'infanzia negata e una vita destinata ad essere vissuta tra quattro mura. Questo era il destino dei pazienti più piccoli dei padiglioni. L'unico modo per uscire dal manicomio , secondo la legge Giolitti del 1904, era ottenere una dimissione in esperimento. I parenti più prossimi, se erano d'accordo, potevano riportare a casa il paziente per un breve periodo. Niente parenti, niente rientro a casa.
Mario Basso non aveva nessuno al mondo e questo bastava per trascorrere anni e anni chiuso in un padiglione. "Mi dicevano che ero pazzoide, che ero matto di testa – esclama mentre ci mostra quello che resta del vecchio manicomio – ma io matto non lo sono mai stato". Avrebbe voluto studiare Mario, costruirsi una vita vera, trovare una famiglia. Ma quando trascorri quasi 40 anni chiuso tra quattro mura, forse non diventi matto ma la tua mente prende una piega strana. Mario è tra i "fortunati" che sono usciti dai manicomi, grazie alla loro lenta dismissione avvenuta dopo l'approvazione della legge Basaglia nel 1978. I più sventurati invece non hanno mai visto il mondo fuori dalle sbarre dei padiglioni, sono entrati ancora bambini e morti lì senza conoscere niente, potendo solo inventarsi una vita tra le quattro mura di un reparto.