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La vera storia del signore della formiche: il processo ad Aldo Braibanti e la condanna per plagio

Aldo Braibanti, ex partigiano, poeta, artista, filosofo e naturalista, alla fine degli anni ’60 fu protagonista di un caso giudiziario che fece molto scalpore nell’Italia all’epoca. L’uomo venne accusato di aver “plagiato” Giovanni Sanfratello, prima suo amico e poi amante, e condannato a 9 anni di carcere.
A cura di Eleonora Panseri
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Aldo Braibanti
Aldo Braibanti

Aldo Braibanti, ex partigiano, poeta, artista, filosofo e naturalista (era esperto mirmecologo, uno studioso delle formiche) nato a Fiorenzuola d’Arda, in provincia di Piacenza nel 1922, alla fine degli anni '60 fu protagonista di un caso giudiziario che fece molto scalpore nell'Italia dell'epoca. L'uomo venne accusato di aver "plagiato" il ventenne Giovanni Sanfratello.

Braibanti venne denunciato dal padre di Sanfratello: il giovane fu infatti prima amico e poi amante dell'intellettuale. Fu condannato nel 1968 a nove anni di carcere, poi ridotti a due, visto il contributo dato durante la Resistenza. Dalla parte dell'intellettuale si schierarono diversi personaggi noti del panorama culturale come Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Dacia Maraini e Umberto Eco.

All'epoca non esistevano leggi specifiche che ‘punissero' l’omosessualità in Italia, per questo si scelse di accusare e condannare Braibanti per "plagio" (nell'accezione di "esercitare un particolare ascendente su un individuo per costringerlo al proprio volere"), un reato che poteva essere attribuito a persone che mostravano la tendenza a non conformarsi al resto della società.

Chi era Aldo Braibanti, l’intellettuale condannato per plagio

Aldo Braibanti
Aldo Braibanti

Aldo Braibanti nacque a Fiorenzuola d’Arda, in provincia di Piacenza, il 17 settembre 1922. Fu sin da giovanissimo grande appassionato dello studio della natura e, in particolare, degli insetti sociali, tra cui le formiche. Allo stesso tempo nutrì durante la sua vita un forte interesse anche per la poesia.

Durante gli anni della dittatura fascista, partecipò attivamente alla Resistenza a Firenze. Finì in carcere due volte e subì torture e violenze da parte delle truppe nazi-fasciste. Subito dopo la fine della guerra, aderì al Partito Comunista Italiano, diventando membro del comitato centrale.

Nel 1947 abbandonò la politica attiva e decise di concentrare la sua attività sul piano culturale, artistico e naturale. Trasferitosi a Roma nel 1962, iniziò a interessarsi e a lavorare in maniera più sistematica nel campo della drammaturgia, della sceneggiatura cinematografica e radiofonica e collaborò anche alla fondazione dei Quaderni Piacentini, rivista trimestrale fondata e diretta da Piergiorgio Bellocchio.

La relazione con Giovanni Sanfratello

Giovanni Sanfratello e Aldo Braibanti
Giovanni Sanfratello e Aldo Braibanti

Braibanti conobbe Giovanni Sanfratello durante l'esperienza di Castell'Arquato, dove l'intellettuale aveva dato avvio a un laboratorio culturale che diversi anni realizzò una produzione artistica variegata, fra ceramiche, poesia, teatro e collages.

Il giovane, affascinato dalla cultura del ‘professore', si offrì di affiancarlo nei suoi progetti. I due, prima solo amici e poi compagni, decisero di spostarsi a Roma e di andare a vivere insieme, nonostante la contrarietà della famiglia del ragazzo, di natura profondamente conservatrice e fascista.

La denuncia del padre Ippolito Sanfratello e il processo per plagio

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Per questo motivo e per contrastare la decisione del figlio, il padre del giovane, Ippolito, il 12 ottobre 1964 decise di  denunciare Braibanti alla Procura di Roma con l’accusa di plagio: l'uomo era accusato di averlo influenzato e di avergli imposto le proprie visioni e i propri principi.

In realtà, l'intenzione era quella di interrompere la relazione omosessuale dei due. Un mese dopo la denuncia, i familiari di Sanfratello portarono via a forza il giovane dalla casa di Roma dove viveva con Brabanti e lo rinchiusero in un manicomio di Verona. Qui restò per 15 mesi, subendo elettroshock e coma insulinici. 

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Nonostante il ragazzo avesse dichiarato al processo di non essere mai stato plagiato dall'intellettuale, il pubblico ministero non diede peso alle sue affermazioni. Dopo un processo durato quattro anni, Braibanti venne condannato per plagio nel 1968, per la prima e ultima volta nella storia del nostro Paese, a nove anni di carcere, ridotti a sei in appello. Altri due gli vennero condonati perché partigiano della resistenza e finì per scontarne due in totale.

La vita di Aldo Braibanti dopo la condanna

In prigione e anche dopo aver scontato la sua condanna, Brabanti si dedicò ancora ai suoi progetti culturali. Continuò a lavorare a Virulentia, opera teatrale composta da dieci spettacoli autonomi e monografici iniziati prima del processo, e scriverà la sceneggiatura del film Blu Cobalto, premiato al Festival di Venezia nel 1985.

Nel 1981 la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo l'articolo 603, che parlava del reato di ‘plagio'. Nel 2003 venne pubblicato Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti, un lungo dialogo con Stefano Raffo in cui Braibanti ripercorse la sua vita e il suo lavoro di pensatore libertario.

Gli ultimi anni di vita Braibanti li passò in condizioni di miseria e venne anche sfrattato dalla storica casa romana. Tornò quindi a Castell’Arquato, dove continuò a vivere in ristrettezze nel tentativo di portare a termine le sue ultime opere. Il 6 aprile 2014 Braibanti morì all’età di 91.

Le reazioni degli intellettuali per il caso Braibanti

Il mondo intellettuale dell'epoca si schierò fermamente dalla parte di Braibanti. Furono numeroso gli appelli in suo favore dei maggiori personaggi del mondo della cultura, come Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini, Umberto Eco, Elsa Morante, Alberto Moravia.

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Il regista e sceneggiatore Marco Bellocchio depose al processo e Marco Pannella, unico politico a occuparsi della vicenda, fece una lunga battaglia sul caso.

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