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Morte Andrea Prospero

La tragica fine di Andrea Prospero e quello spaccato in cui la morte può diventare gioco e sfida

È una chat dell’orrore quella che descrive gli ultimi minuti di vita di Andrea Prospero. Che ci offre uno spaccato agghiacciante quanto reale della relazione tra il web, il darkweb e i giovani.
A cura di Margherita Carlini
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È una chat dell’orrore quella che descrive gli ultimi minuti di vita di Andrea Prospero. Che ci offre uno spaccato agghiacciante quanto reale della relazione tra il web, il darkweb e i giovani.

Uno spaccato in cui la morte può diventare un gioco, una sfida, e dove la nostra identità, l’altro e il rapporto con l’altro assumono significati e dimensioni completamente differenti.

Stava male Andrea, aveva un malessere interiore che era cresciuto nel tempo, acquisendo man mano una dimensione quasi totalizzante che lo avrebbe portato a sviluppare una sorta di ansia sociale. Un malessere, sembrerebbe, dovuto anche al trasferimento a Perugia, che gli aveva creato una serie di difficoltà nella relazione con gli altri, lo aveva portato a isolarsi e a trovare rifugio in una dimensione parallela.

Non sarebbe riuscito a parlarne con gli amici di una vita, i coetanei con cui era andato a scuola ed era cresciuto, con i suoi genitori o con la sorella Anna, con la quale condivideva quell’esperienza a Perugia.

Lo spazio di confronto, quel luogo in cui mettersi a nudo Andrea lo avrebbe trovato nel web, in particolare con un ragazzo di 18 anni, l’odierno indagato, con il quale da mesi affrontava il tema del suicidio e al quale aveva chiesto aiuto per trovare il metodo indolore per porre fine alla sua vita.

Ed è con lui dall’altra parte dello schermo, in un fitto scambio di messaggi e foto all’interno una chat di Telegram, che tra le 12.16 e 03 secondi e le 12.52, Andrea pone fine alla sua vita ingerendo una dose massiccia di farmaci.

Una vicenda questa, che ci obbliga, ancora una volta, a fare i conti con la complessa e quanto difficoltosa relazione che i nostri giovani ragazzi hanno con il web e con le ripercussioni che questo implica nello sviluppo della loro identità e nel condizionamento delle loro capacità di mettersi in relazione con l’altro.

Una difficoltà che spesso ritrovo nella mia pratica clinica nel lavoro con i più giovani.

Perché va tenuto in considerazione che se da un lato l’utilizzo dei social e la navigazione sul web rappresenta per gli adolescenti e i ragazzi più giovani un’opportunità per mettersi in connessione con i loro coetanei, in una dimensione sicuramente molto più ampia rispetto a quella con cui ci siamo confrontati noi adulti alla loro età, consentendogli di esplorare il mondo, ricercando nuovi interessi e sperimentando se stessi nel mondo, li espone anche a rischi significativi.

Internet ha infatti un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’identità degli adolescenti perché i contesti virtuali ai quali i ragazzi si aprono influenzano il loro sviluppo personale, caratteriale ed emotivo, con la difficoltà, sempre più diffusa, di distinguere l’on line dall’off line, dall’acquisire una sana consapevolezza che ciò che accade nel virtuale ha inevitabili ripercussioni nella vita reale.

In un’età in cui la fatica più grande che l’individuo affronta è quella volta alla strutturazione di una propria identità, definendone i confini anche in termini di protezione ed autotutela, l’identità digitale (molto spesso le identità digitali) diventa una dimensione che sfugge al proprio controllo.

Il confronto con nuovi mondi, che possono essere percepiti come prossimi e fondati su legami emotivi significativi, può diventare profondamente destabilizzante con il rischio che l’identità virtuale sia sempre più scollegata, distante da quella reale con un conseguente distacco, favorendo in maniera quasi esclusiva le interazioni virtuali.

È in questo modo che i giovani tendono progressivamente ad isolarsi utilizzando il web come una via di fuga da quelle che sono le problematiche della vita quotidiana, e che pertanto andrebbero invece affrontate in questa dimensione.

Il rischio a lungo termine è quello di una deprivazione sociale che comporta conseguenti e crescenti difficoltà nella relazione con l’altro. Le “amicizie” social e virtuali sono molteplici, potremmo definirle infinite, ma vengono meno le relazioni significative che si fondano sulla prossimità con l’altro, il contatto visivo, il confronto reale, la vicinanza.

Ciò che avrebbe dovuto connetterci con il mondo sta deteriorando quella che forse è la funzione che più ci caratterizza come specie, quella sociale, intesa come capacità e necessità di fare gruppo, di essere in relazione con l’altro, una relazione che da sempre è fondamentale per la nostra sopravvivenza. Una relazione con l’altro che oggi sembra essere diventata sinonimo di privazione, di distanza, isolamento ed assenza di empatia.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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