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La strana morte di Giangiacomo Feltrinelli, l’editore che voleva strappare l’Italia al fascismo

La mattina del 15 marzo 1972, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione alla periferia di Milano, il corpo carbonizzato di un uomo vestito da guerrighiero viene ritrovato da un passante. Nelle tasche ha i documenti di Vincenzo Maggioni, ma è Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dell’omonima casa editrice milanese, uno degli uomini più influenti d’Italia. Per la magistratura è ‘incidente’, ma sul suo corpo ci sono apparenti segni di violenza. Chi voleva morto Feltrinelli?
A cura di Angela Marino
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La mattina del 15 marzo 1972, ai piedi di un traliccio dell'alta tensione alla periferia di Milano, Luigi Stringhetti, sceso per portare al passaggio il cane Twist, trova il corpo carbonizzato di un uomo sulla 40ntina. Sul posto accorre un giovane commissario di polizia in carriera, Luigi Calabresi, salito agli onori delle cronache per le sue indagini sulla strage di Piazza Fontana. Sul corpo del malcapitato si trovano dei documenti intestati a Vincenzo Maggioni,  ma 24 ore dopo si scoprirà che il cadavere del traliccio appartiene invece a Giangiacomo Feltrinelli, Marchese di Gargnano, fondatore dell'omonima casa editrice milanese, intellettuale comunista.

Feltrinelli (rimasto) ucciso

È una morte assurda, intrisa di domande, inspiegabile. Secondo la prima ricostruzione, Feltrinelli, l'editore che aveva dato alle stampe Il dottor Živago e Il Gattopardo, sarebbe stato ucciso da un incidente occorso mentre maneggiava un ordigno che avrebbe dovuto, mettendo fuori uso il traliccio dell'ENEL, far saltare l'elettricità sabotando il congresso del PCI che avrebbe portato all'elezione di Luigi Berlinguer, come segretario. A riprova delle intenzioni dell'editore ex partigiano, nelle sue tasche vengono ritrovati tre mazzi di chiavi che aprono rispettivamente le porte di tre immobili di Milano, rispettivamente in via Boiardo, via Delfico e via Subiaco, altrettanti covi delle Brigate Rosse. Il particolare delle chiavi, assunto come elemento a favore della tesi dell'attentato finito male, di per sé non convince. Se c'era qualcosa che i brigatisti osservavano religiosamente, era l'estrema riservatezza delle sedi, soprattutto quelle di carcerazione, tanto che nessuno che non fosse direttamente responsabile di quella base doveva essere a conoscenza della sua posizione, nemmeno i capi, figurarsi affidare a un solo uomo le chiavi di tre basi. Eppure.

I dubbi

Difficile, poi, immaginare un uomo come Giangiacomo Feltrinelli, ex partigiano, comunista di stampo rivoluzionario che credeva nella guerriglia in stile ‘Che Guevara' per gestire il conflitto con i neofascisti, si lanciasse in un'avventura di questo tipo, aderendo alle linee di quelle BR che non aveva mai appoggiato. Da non sottovalutare era poi l'estrema imprudenza di un simile comportamento, considerato che dal 1969 al marzo al 1972, ovvero fino al giorno della morte, Feltrinelli era riparato in Austria per sottrarsi al controllo serrato dei Servizi Segreti che lo controllavano da quasi 30 anni, da quando, cioè, aveva fondato i  i GAP, gruppi di azione partigiana, mentre da ben tre anni i funzionari dei Servizi entravano e uscivano dai suoi uffici.

Scalfari e il manifesto: "Omicidio"

Sin dai primi tempi dopo la morte dell'editore questi e altri dubbi vengono sollevati da nomi altisonanti della stampa come Eugenio Scalfari e Camilla Cederna che non ebbero timore a scrivere un manifesto in cui si diceva che Feltrinelli era stato ‘assassinato'. La tesi è questa: l'editore è stato aggredito e fatto esplodere. La domanda, a fronte di tanti legittimi dubbi, è: chi lo voleva morto? Feltrinelli era un editore coraggioso, pionieristico, ma soprattutto (politicamente) uomo scomodo, tanto che l'intelligence di diversi paesi, compreso Israele, che a Milano aveva una base operativa e che era ben presente nei gagli dell'eversione rossa e nera, lo tenevano d'occhio. Perfino la CIA aveva gli occhi dei suoi informatori sull'imprenditore milanese. Feltrinelli, tanto per cominciare, era inviso al Mossad, perché simpatizzante (per alcuni finanziatore) dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, che in Italia dopo il ‘Lodo Moro', si muoveva liberamente. "A uccidermi sarà il Mossad". Ovviamente, il caso è archiviato.

La pista

Nel 2012, quarant'anni dopo i fatti e dopo 20 della temutissima ascesa al potere della destra (liberale) che con Berlusconi governerà dal '94 al 2011, prove emerse da altri processi riporteranno in auge la tesi dell'omicidio. Lo scrive il Corriere, citando una perizia ignorata dalla magistratura a firma dei medici legali Gilberto Marrubini e Antonio Fornari i quali rilevano che "alcune delle lesioni riscontrate sul cadavere di Giangiacomo Feltrinelli non possano e non devono essere ascritte ad esplosione".  Si tratta di ferite "sfalsate nel tempo", che i due riconducono, in maniera neanche troppo indiretta, all'ipotesi di un pestaggio.

"Eliminato perché sapeva di Gladio"

L'inchiesta, nonostante la rilettura di questi documenti, non viene riaperta e tutto resta esattamente com'era fino alla morte di Inge Feltrinelli, all'anagrafe, Inge Schönthal, la terza moglie dell'editore, che qualche mese prima di morire, nel 2018, dichiara: "La morte di mio marito fu un omicidio politico: Giangiacomo sapeva di Gladio. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria".

L'epilogo

Nonostante gli allarmanti sospetti della donna che fu la sua ultima compagna, del caso Feltrinelli non si è più indagato. Eppure restano incise quasi a provocazione, queste sue parole sul senso politico che dava alla sua attività: "Io cerco di fare un'editoria che magari ha torto lì per lì, nella contingenza del momento storico, ma che, quasi per scommessa, io ritengo abbia ragione nel senso della storia".

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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