La strada verso le Paralimpiadi del baseball per ciechi passa da Messina: “Sport è libertà”
"Noi vogliamo giocare in campionato". Emilia Ammirato, coach della Messina Baseball Swordfish, ha un obiettivo ben chiaro in testa: costruire in Sicilia, nella città dello Stretto, la prima squadra di baseball per ciechi a sud di Roma. Per riuscirci, sta lavorando con l'università del capoluogo peloritano e con un'associazione sportiva dilettantistica, l'Asd Aurora, che si rivolge prevalentemente a non vedenti e ipovedenti. "Sarà un percorso lungo, ma vogliamo farcela. È un'emozione e un'opportunità di crescita per tutti".
La primavera tarda ad arrivare in Sicilia e il giorno della prima lezione al PalaNebiolo di Messina piove. Così il campo non è utilizzabile e bisogna ripiegare sulla vicina palestra. Entrano tutti: gli insegnanti, i giocatori più esperti, e gli aspiranti allievi. Ci sono, per esempio, Barbara Menoni e Sarwar Ghulam, le star della Leonessa di Brescia, la squadra fondata nel 2018 e vincitrice del campionato nel 2020. E c'è Danilo Musarella, presidente dell'Asd Blind Fighters di Sesto Fiorentino, giocatore anche lui. C'è Marco Corazza, tecnico della Roma All Blinds ("Come gli All Blacks, solo che da noi sono tutti ciechi"), che li allenava prima e li allena anche ora, dopo che un tumore gli ha portato via una gamba. E poi c'è Alberto Mazzanti, presidente dell'associazione italiana Baseball per ciechi e della Lega che organizza il campionato.
"Senza volere fare passi affrettati, l'obiettivo è di portare il gioco anche qui in Sicilia. Se i ragazzi e le ragazze, divertendosi, diventano anche bravi, entreranno in campionato", spiega Mazzanti. Il baseball per ciechi, a dispetto delle origini statunitensi del gioco per normodotati, è stato inventato in Italia: lo ha creato Alfredo Meli una trentina di anni fa. Giocatore della Fortitudo di Bologna, Meli ha messo insieme un gruppo di amici, tra i quali anche Mazzanti, e ha dato il via al percorso sportivo che, oggi, continua. Con l'ambizioso obiettivo di diventare uno sport da Paralimpiadi.
"Base sonora, palette che fanno rumore, pallina che suona", spiega Mazzanti. Il gioco è molto simile al baseball normale: manca il lanciatore (il battitore fa da sé), ma il meccanismo di basi, recupero palla battuta e salvezza resta, accompagnato dai suoni che permettono ai giocatori ciechi o ipovedenti di orientarsi nello spazio del campo da gioco. Una sirena avvisa della posizione della prima base, mentre assistenti vedenti battono delle palette di legno per comunicare la posizione delle basi seconda e terza. Dalla terza alla casa base i giocatori non hanno aiuti.
"È una cosa bellissima", dice Giovanni Nava, non vedente dal 2003, dopo una vita tra miopia e distacchi di retina. Come lui, al PalaNebiolo di Messina, ci sono tante persone. Qualcuno è rimasto cieco per via di uno sciocco incidente a scuola: una caduta tra bambini e un colpo preso alla testa. Qualcun altro per una malattia come la retinite pigmentosa. Qualcuno è nato non vedente. E qualcun altro, invece, è ipovedente: vede solo luci e ombre. "Quando ci vedi – spiega Nava – non fai caso a tante cose. Quando diventi cieco, però, ti accorgi che non puoi più fare niente senza aiuti. Hai bisogno di qualcuno che ti accompagni, ti scontri con mille ostacoli in mezzo alla strada. La sensazione di correre senza aiuti ti ricorda che la libertà è che la cosa più bella che ci sia". Lui, messinese, è uno di quelli che il baseball per ciechi lo ha appena scoperto e vorrebbe praticarlo.
Nel capoluogo peloritano, l'università, la Swordfish e l'Asd Aurora lavoreranno insieme per costruire una squadra. Del resto, l'ateneo messinese, tramite la società sportiva UniMe, sta proprio lavorando per rendere lo sport più accessibile: "Affinché possano praticarlo tutte le persone con disabilità – spiega Carlo Giannetto, docente dell'università – E in particolare i bambini". Un punto non scontato, questo dei giovanissimi: "Noi abbiamo difficoltà a reclutare giovani atleti – racconta Barbara Menoni a Fanpage.it – Molto spesso i genitori si spaventano, non se la sentono di fare partecipare i figli non vedenti ad attività sportive. Di fatto li chiudono in casa per paura". Ma l'indipendenza che s'impara sul campo da baseball, sostiene lei, si riporta anche nella vita quotidiana.
"Ho visto persone – aggiunge Mazzanti – cambiare radicalmente grazie allo sport. Se ci fosse maggiore diffusione di baseball per ciechi, potremmo anche vedersi avvicinare il sogno più grande: competere alle Paralimpiadi". E permettere ai giocatori di tutt'Italia di ambire alla manifestazione sportiva più importante del mondo. "Deve essere giocato in molti Paesi, per essere accolto alle Paralimpiadi: attualmente siamo a Cuba, dovremmo andare in Australia a fine anno, siamo in Germania, Francia, Pakistan, Inghilterra".