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La storia di Yuri, sopravvissuto alla strage di Bologna: “Avevo 7 anni, a scuola mi chiamavano eroe”

Il 2 agosto di 42 anni fa l’attentato terroristico alla stazione di Bologna: 85 vittime e oltre 200 feriti, fra cui Yuri Zini, all’epoca un bambino di appena 7 anni, che si trovava lì col padre. “A scuola i compagni mi chiamavano eroe, ma sono solo stato fortunato”.
A cura di Beppe Facchini
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Yuri Zini, sopravvissuto alla strage di Bologna
Yuri Zini, sopravvissuto alla strage di Bologna

“È stato fatto tanto, ma forse si può fare ancora di più”. Ne è convinto Yuri Zini, sopravvissuto alla strage alla stazione di Bologna, il 2 agosto il 1980: era lì con suo padre Gianni, capo tecnico delle ferrovie, originario di un piccolo comune della provincia felsinea, dal quale aveva ereditato la passione per locomotive e binari.

“Tutti i sabati ci recavamo a fare un giro alla stazione” racconta Yuri a Fanpage.it, in occasione del 42esimo anniversario di uno dei capitoli più neri della storia repubblicana in Italia. Un attentato terroristico in un periodo complicatissimo lungo tutto lo stivale, con 85 vittime e oltre 200 persone ferite. L'ordigno esplose alle 10.25, lo stesso orario indicato ancora oggi allo scalo ferroviario bolognese, da quell'orologio diventato non solo il simbolo della strage, ma anche un marchio indelebile sulla pelle di Yuri, che qualche anno fa ha deciso di tatuarselo sul braccio sinistro. “Mi ricorda le 85 vittime ogni giorno -dice ancora dalla sua casa di Osteria Vecchia, sempre in provincia di Bologna-, mi sono sentito il dovere di farlo”.

Il mio sogno era quello di guidare i treni -continua Yuri, un bambino di appena 7 anni nel 1980-. Ho avuto la fortuna di salirci tante volte anche con dei colleghi di mio padre. Poi però purtroppo questa cosa mi è stata tolta, perché le paure che avevo non me l'hanno permesso”.

Per tanto tempo, come molti altri superstiti della stessa strage, la voglia di parlarne è stata davvero poca. Fino a quando non arriva il momento di rendersi conto di quanto sia importante mantenere viva la memoria di un attentato come questo, anche all'interno delle scuole. Proprio come da qualche anno ha iniziato a fare lo stesso Yuri. “Ho capito che è giusto parlarne e che i giovani sappiano, in fondo sono loro il nostro futuro” prosegue. Poi aggiunge: “Essendo successo il 2 agosto, dopo circa un mese sono tornato a scuola e mi è rimasto impresso come al rientro i miei compagni mi dicevano che ero un eroe. Io però non ero stato un eroe, ma solo molto fortunato”.

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Degli istanti dell'esplosione, però, Yuri non ricorda nulla. Gli ultimi momenti nella sua memoria sono l'arrivo a Bologna col papà, la visita ad alcuni parente, le poche chiacchiere scambiate con un amico del genitore, che faceva il vigile urbano, e poi un rumore assordante mentre si stavano incamminando verso il piazzale ovest della stazione, dove avrebbero preso il treno diretto verso casa.

“Tutto quello che so mi è stato raccontato da mio padre -spiega-. Con lo spostamento dell'aria sono stato sbalzato per cinque o sei metri, finendo su un treno fermo al primo binario. Mio padre mi ha detto del polverone che si è sollevato e di un silenzio quasi surreale. È venuto da me e mi ha portato in ambulatorio che prima era vicino alla stazione: mi servivano dei punti di sutura, avevo ferite alle braccia e alle gambe, così siamo poi andati in ospedale. Lui aveva solo dei tagli per via di alcune schegge di vetro. Il giorno dopo -ricorda ancora Yuri- dovevamo partire per le ferie: mio padre però voleva tornare indietro per dare una mano, così lasciò me e mia madre in Riviera e andò di nuovo a Bologna. Io dopo l'attentato sono stato anche seguito da degli psicologi: mi hanno detto che essendo bambino avevo rimosso tutto. Ma solo le immagini, non quello che ho dentro. Ad esempio -prosegue- può capitare che una porta sbatta perché c'è corrente e io mi spavento, mi blocco per qualche secondo e non parlo, perché mi viene in mente quel giorno lì. Oppure, per molto tempo ho fatto fatica ad andare sui treni o in stazione: l'ho superata a 15 o 16 anni, quando per muovermi con gli amici bisognava affrontare questa cosa”.

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Per l'attentato alla stazione di Bologna, dopo un lungo iter giudiziario e diversi depistaggi, furono condannati prima Licio Gelli, il maestro venerabile della loggia massonica P2, gli agenti segreti Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza e poi, con la sentenza finale del 1995, anche i terroristi Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Fra il 2007 e il 2020 si aggiunsero all'elenco altri due terroristi del gruppo neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari, Luigi Ciavardini (minorenne all'epoca dei fatti) e Gilberto Cavallini, mentre lo scorso aprile, in primo grado è stato condannato all'ergastolo, in concorso con gli altri esecutori, pure Paolo Bellini, in un nuovo processo riaperto nel 2019. Mancano però ad oggi ancora i nomi dei mandanti della strage. “Rispetto ad altre, come quella di Piazza Fontana, è già tanto essere arrivati a questo punto -commenta Yuri Zini-. Quello che dispiace è che, purtroppo, quando ci sono di mezzo i servizi segreti si fa sempre fatica ad arrivare a una verità definitiva. Secondo me c'era una parte di Stato che sapeva -conclude- ma purtroppo ora quelle persone non ci sono più”.

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