Patrick Zaki, le tappe della storia: l’arresto, i processi, la condanna e la grazia
Martedì 18 luglio 2023 Patrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere, poi gli è stata concessa la grazia dal presidente Al-Sisi.
La sentenza nei confronti dell'attivista egiziano, arrestato mentre frequentava il master in studi di genere all'Università di Bologna, era stata emessa dal tribunale egiziano di Mansura, che lo ha giudicato colpevole di diffusione di notizie false per un articolo scritto nel 2019 su un attentato dell'Isis e due casi di discriminazione ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto.
Il verdetto è giunto al termine dell'undicesima udienza del processo. "Calcolando la custodia cautelare" già scontata, "si tratta di un anno e due mesi" di carcere ancora da scontare, ha precisato l'avvocato difensore Hazem Salah. Poi è arrivata la notizia della grazia presidenziale, provvedimento che lo rende libero con effetto immediato.
La storia della detenzione di Patrick Zaki inizia il 7 febbraio 2020; nel dicembre 2021 viene scarcerato, ma non assolto. La pronuncia viene rinviata più volte fino alla data del 18 luglio 2023, con la condanna e la successiva grazia da parte di al-Sisi.
Chi è Patrick Zaki
Nato il 16 giugno 1991 a Mansura, in Egitto, da genitori di religione cristiana ortodossa copta, Patrick George Zaki ha studiato nel suo Paese d'origine conseguendo una laurea in farmacia alla German University del Cairo. In occasione delle elezioni presidenziali egiziane del 2018, Patrick fu uno degli animatori della campagna elettorale di Khaled Ali, avvocato e attivista politico impegnato nella difesa dei diritti umani che in seguito ritirò la candidatura denunciando le minacce e gli arresti di molti suoi collaboratori. Sempre attento ai diritti dei più umili, Zaki ha fatto parte dell'associazione per la difesa dei diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights, con sede a Il Cairo, e nel 2019 si era trasferito a Bologna per frequentare un master universitario in studi di genere.
L'arresto nel 2020, le torture e i capi d'accusa
La svolta nella vita di Patrick arriva il 7 febbraio del 2020. Quel giorno, non appena atterrato all'aeroporto del Cairo, viene fermato da agenti di polizia egiziani. Nel suo Paese avrebbe dovuto trascorrere un breve periodo di vacanza in compagnia dei suoi cari, invece ha inizio un vero e proprio incubo. Dopo diverse ore di sparizione forzata, ricompare il giorno seguente, 8 febbraio, di fronte alla procura della città di Mansura per la convalida dell’arresto. Il mandato di cattura contiene le accuse di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. Secondo i mezzi d'informazione governativi egiziani, Zaki sarebbe stato attivo all'estero per scrivere una tesi sull'omosessualità e per incitare contro lo stato egiziano.
In merito a quel primo interrogatorio il suo avvocato ha riferito che Zaki è stato bendato e torturato per 17 ore di filacon colpi allo stomaco, alla schiena e con scariche elettriche inflitte dalle forze di sicurezza egiziane, oltre a essere stato interrogato a riguardo della sua permanenza in Italia, del suo presunto legame con la famiglia di Giulio Regeni, e del suo impegno politico, venendo inoltre minacciato di stupro. Tutte accuse che gli inquirenti hanno negato, naturalmente.
La detenzione in carcere a Mansura e Il Cairo
Quello che nessuno ha mai potuto negare è stato però l'arresto. Dopo una breve detenzione a Talkha, il 25 febbraio Zaki è stato condotto nel carcere di Mansura e successivamente in quello di Tora, al Cairo. Pochi giorni dopo, ha avuto inizio un lungo alternarsi di rinvii delle udienze a causa del Covid fino al 14 settembre del 2021, quando l'imputato è comparso davanti ai giudici. In quell'occasione la Procura suprema per la sicurezza dello stato ha sostenuto un'unica accusa al processo , quella di "diffusione di false notizie dentro e fuori il Paese", riferendosi ad un articolo, a firma di Zaki, pubblicato nel 2019 sul giornale libanese Daraj. Nel pezzo, il giovane ricercatore riportava alcune persecuzioni e discriminazioni subite dalla comunità copta egiziana.
La scarcerazione
Trascorrono pochi mesi dalla prima udienza del settembre 2021 e il 7 dicembre di quello stesso anno, al termine della terza udienza, il tribunale ordina la scarcerazione di Zaki, affermando che l'imputato potrà rimanere in libertà per la restante durata del processo.
Sul ragazzo pende la spada di Damocle dei giudici egiziani, ma le sue condizioni di vita migliorano sensibilmente. Durante il periodo pre-processuale, infatti, Patrick aveva subito lo stillicidio di ben 18 udienze in cui furono decisi prolungamenti della sua custodia cautelare trascorsa quasi per intero nel carcere di Tora al Cairo. Soprattutto nei primi mesi della pandemia, nella primavera 2020, il ragazzo è stato costretto a dormire sempre per terra, usando coperte come materasso e soffrendo forti dolori alla schiena. Ricevette la prima visita dei parenti solo dopo cinque mesi e mezzo di reclusione. Si è trattato di un periodo nero in cui l'allora solo studente dell'Alma Mater ha rischiato 25 anni di reclusione.
Il ruolo dell'Italia e i rapporti con l'Egitto
Fin dal principio i governi italiani si sono dati da fare per trovare una soluzione positiva alla vicenda di Patrick Zaki e anche il giorno della condanna definitiva, il 18 luglio 2023, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rinnovato il suo impegno in tal senso. La premier aveva già incontrato il leader egiziano al Sisi in occasione della Conferenza Mondiale sul clima Cop27 dello scorso autunno: "Sono stato contento quando la premier ha voluto parlare del rispetto dei diritti umani. Mi aspetto che tutti i leader mondiali lo facciano, anche perché la Cop27 deve essere un'occasione per parlare anche di giustizia. Ci sono centinaia di detenuti politici che sono innocenti", aveva commentato in quell'occasione a Fanpage.it Zaki.
La condanna a 3 anni di carcere
Il 18 luglio ai danni di Zaki è stata emessa la condanna definitiva a tre anni di carcere, in teoria inappellabile, ma soggetta alla valutazione di un governatore militare e del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Con 22 mesi già scontati, il giovane dovrà tornare dietro le sbarre per 14 mesi. Il 5 luglio 2023 Zaki si era laureato dall'Egitto. I legali hanno annunciato ricorso.
La grazia concessa dal Al-Sisi
Ma la vicenda di Zaki non è ancora finita. A poco più di 24 ore dalla condanna è arrivata la notizia della grazia concessagli dal presidente egiziano Al-Sisi con effetto immediato. "È importante che sia arrivato questo provvedimento: non cancella una condanna ingiustificata nei confronti di Patrick, ma lo rende libero. E speriamo lo renda libero definitivamente anche di viaggiare", è stato il commento a caldo di Riccardo Noury di Amnesty International".
L'impegno di Amnesty International
Se c'è un'associazione che è sempre stata accanto a Patrick Zaki questa è Amnesty International: "Ci aspettavamo di tutto: un'assoluzione, un rinvio, una condanna. Noi abbiamo sempre detto che Patrick era imputato e in Egitto ‘imputato' è sinonimo di ‘condannato'. Sappiamo che in quel tipo di tribunale in Egitto la sentenza non è soggetta ad appello o a ricorso in Cassazione, ma potrebbero esserci altre vie. Ad esempio c'è il precedente di uno studente dell'università di Vienna la cui condanna venne annullata e poi fu fatto un nuovo processo", ha dichiarato a Fanpage.it il portavoce Riccardo Noury, che non ha risparmiato un'accusa a Palazzo Chigi: "Sul piano politico dobbiamo dire che dal giorno in cui Patrick è stato scarcerato, l'Italia come istituzione ha mollato completamente la presa su questa storia". Poi, anche da parte è arrivato un commento soddisfatto alla notizia della grazia: "Eravamo arrivati in piazza del Pantheon a Roma con un senso di angoscia, che si sta trasformando in qualcosa di diverso".