Nella Udine degli anni di Piombo per le strade della città si muove un’ombra inquietante. Mentre i brigatisti dell’ala friulana mettono a segno sequestri e azioni armate e le autorità sono concentrate sull’attività di contrasto al terrorismo, la mano sanguinaria di un predatore ossessionato dalle donne miete decine di vittime. Le finestre vengono sbarrate, nella nebbia metropolitana delle sere d’inverno spariscono decine di donne: verranno ritrovate sgozzate e sventrate agli angoli della periferia. E quando piove vuol dire una cosa sola: il mostro sta arrivando.
Il primo omicidio del mostro di Udine
È il settembre del 1971 quando le forze dell’ordine rinvengono il corpo della prima vittima: Irene Belletti, uccisa a coltellate, viene ritrovata nella sua auto nei pressi della stazione. Il fatto che si fosse appartata, forse con un compagno, fa balenare nell'immaginario il modus operandi di un altro killer, il mostro di Firenze, che in quegli anni flagella le coppie di amanti. L'omicidio della Belletti è il primo di 16 delitti che bolleranno il ventennio dal 1971 al 1989 come quello del serial killer più prolifico del Nord est: il mostro di Udine. Poco dopo l'assassinio della bella udinese, un'altra giovane viene trovata strangolata nella zona: è Elsa Moruzzi. Non molto tempo dopo, nel 1975, sarà la volta di Eugenia Tilling, morte sgozzata. Nel '76 tocca a Maria Luisa Bernardo, anche lei finita con decine di fendenti.
La firma del mostro
Il killer è mosso da un odio misogino, squarcia pance e gole con una lama, poi strazia i corpi con la sua macabra firma: un taglio a forma di "S" che va dallo sterno al pube. Un taglio chirurgico che somiglia a quello praticato negli anni Cinquanta dai ginecologi per eseguire il parto cesareo. Quattro delitti su sedici portano il medesimo marchio distintivo. Negli ambienti investigativi si comincia a parlare di serial killer e, quando appare evidente che la scia di sangue è riconducibile a un’unica, feroce, mano, gli omicidi vengono inanellati insieme sulla base della vittimologia. Le donne uccise erano tutte prostitute. Tra loro ci sono Maria Carla Bellone uccisa il 19 febbraio 1980, Luana Giamporcaro, 22 anni, uccisa il 24 gennaio 1983 e Aurelia Januschewitz, 42 anni, uccisa il 3 marzo 1985. Eppure la tesi del giustiziere, del Jack lo squartatore friulano, non quadra. Wilma Ghin, il cui corpo venne trovato carbonizzato nel 1980 non era una prostituuta e non lo era nemmeno Marina Lepre, una maestra di scuola elementare di 40 anni, uccisa il 26 febbraio 1989. Proprio la sua morte, segnerà un capitolo decisivo nelle indagini sul caso.
Le vittime sono donne emarginate
Marina viene trovata esanime nel greto del fiume Torre, nella zona di San Bernardo di Godia. I suoi abiti sono stati strappati, ha la gola squarciata e un profondo taglio sul ventre. È ipotizzabile che qualcuno l’abbia adescata e poi l’abbia aggredita con uno strumento simile a un bisturi, praticandole quell’inconfondibile incisione sulla pancia. Il mostro ha colpito ancora, ma la famiglia della 40enne si ribella a certe notizie diffuse dalla stampa: Marina non è una prostituta, ma una lavoratrice e madre di una bambina di 9 anni. La stessa che l'ha aspettata invano, a casa, l'indomani della sua scomparsa. Questa volta i carabinieri decidono di tornare sul luogo del delitto per una perlustrazione. Sul posto non c’è nulla, ma ben presto l'attenzione dei militari viene catturata da una voce. Poco lontano qualcuno si lamenta, invoca il perdono di Dio, è disperato. I due accorrono e si trovano davanti un uomo di circa sessant'anni, in stato confusionale. I militari lo scortano a casa. Apre la porta un uomo che sembra suo coetaneo: "È mio fratello" spiega " spesso è vittima di allucinazioni.
Il profilo del serial killer di Udine
Chi è quell’uomo e perché si aggirava nei pressi di una chiesa a pochi passi dal luogo in cui la maestra è stata sgozzata? Gli accertamenti riveleranno che si tratta di un uomo appartenente alla media borghesia cittadina. Ha una formazione medica, ma non esercita la professione; è specializzato in ginecologia, ma non ha mai toccato un corpo femminile. I suoi problemi psichiatrici sono cresciuti con lui, costringendolo a una vita da recluso. Aveva continuato a vivere in famiglia, protetto dall'affetto della madre e del fratello. Per circa due anni aveva lavorato come cameriere in un ristorante, poi si era praticamente ritirato in casa. Nel ristorante una collega lo aveva sorpreso nascosto in un angolo, mentre simulava un parto cesareo con un coltello e una tovaglia. Il cerchio sembra chiudersi. Il profilo tracciato per il killer è proprio quello di un narcisista patologico, un misogino con deliri pseudo-mistici che sfoga la sua rabbia sulle donne, in un evidente transfert del rapporto sessuale.
Il sospettato è un ginecologo
È possibile che il (mancato) medico sia il killer? Ad aggiungere sospetti emerge un altro elemento. Al telefono, il fratello del 60enne si sfoga con un’amica: “Ho dovuto tenere mio fratello chiuso in camera per impedirgli di uscire”, dice alla donna che, sconcertata, gliene domanda il motivo. “Pioveva”, è l’agghiacciante spiegazione. Dunque, l'uomo avrebbe trattenuto il fratello per impedirgli di farsi o fare del male sotto il richiamo della pioggia? Tutti i delitti, per una spaventosa coincidenza, sono stati commessi in lunghe notti piovose. Non appena le attenzioni delle autorità si concentrano sulla famiglia, gli omicidi, improvvisamente, cessano. Mentre è indagato, il principale sospettato, però, muore di morte naturale e sul caso cala il silenzio.
L'ultimo indizio: il portachiavi
Solo diversi anni più tardi un nuovo elemento verrà portato all'attenzione delle autorità dalla figlia dell'ultima vittima. Quando è stata trovato il suo corpo, Marina Lepre, stringeva nelle dita un anello portachiavi. La chiave, però, introdotta dalla figlia della donna nelle serrature della loro vecchia casa, non risulta compatibile con nessuna di esse. Era dell'assassino? Una domanda rimasta senza risposta. Nella abitazione dell'unico sospettato, le serrature, invece, erano state tutte cambiate.
L'epilogo: il mostro di Udine oggi
Il caso del mostro di Udine è tuttora insoluto. Resta senza nome l’assassino delle 15 vittime ammazzate dal 1971 al 1989. Donne sole, in balia dei loro demoni. Donne "invisibili" finite nelle mani di un predatore sul quale non si è mai accesa l'attenzione mediatica. Uno strano caso, quello della mattanza del Friuli, rimasto nell'ombra e nell'indifferenza di una città attraversata da una lunga scia di sangue, ma rimasta cieca e sorda.