Se avete puntato i cannoni contro la “scuola classista” di Via Trionfale, rea di aver classificato gli studenti dei suoi diversi plessi come appartenenti al ceto “medio basso”, “medio alto”, “dell’alta borghesia” o dei figli “di colf e badanti”, avete due possibilità: potete deporre le armi, la prima. Oppure – seconda possibilità – potete puntarle contro l’intero sistema scolastico italiano. Perché non c’è nemmeno una scuola della penisola che nel suo rapporti di auto-valutazione manchi di indicare il contesto socio-economico di riferimento, e il ceto sociale della popolazione di riferimento.
Non ci credete? Provate ad andare sul portale “Scuole in chiaro” del Ministero dell’Istruzione, quello che permette di valutare e confrontare ogni singolo istituto scolastico italiano. Scoprirete che, oltre all’offerta formativa e ai risultati dei test Invalsi, ogni singolo istituto della Penisola è confrontabile con gli altri in funzione del contesto socio-economico in cui è inserita. Esatto: dei ceti alti, medi e bassi, così come dei tanti o pochi stranieri presenti.
Noi ci abbiamo provato con cinque scuole primarie, scelte a caso. C’è la scuola Sant’Anna di Torino, in cui “il livello socio-economico degli studenti (…) è medio-basso, poiché vi è una consistente presenza di alunni che provengono da contesti svantaggiati”. Eterogeneità, questa, che “costituisce anche un vincolo, in quanto la cospicua presenza di alunni stranieri rallenta e rende più difficoltosi gli apprendimenti”. Buono a sapersi.
Così come alla scuola “Ciceri Visconti” di Milano in cui “Il contesto socio-economico di provenienza degli studenti è medio-alto ma si evidenziano alcune situazioni di famiglie svantaggiate” e “una cospicua presenza di alunni con cittadinanza non italiana (circa il 25% del totale degli iscritti) soprattutto di origine cinese”.
Va meglio ancora, alla scuola Nogarola Isotta di Verona dove “Il contesto socio-economico è medio-alto” e “offre le seguenti opportunità: servizi ed infrastrutture in misura notevole, background culturale elevato, possibilità economiche”. Ci sono gli stranieri ,pure lì, certo, ma sono solo “il 12% della popolazione“ e “molti sono di seconda generazione e non necessitano di alfabetizzazione, dimostrando già integrazione con compagni e contesto”. Evviva.
E doppio evviva per la scuola di Via Firenze a Conversano, in provincia di Bari, che opera in un contesto socioeconomico medio – alto e si attiva nel proporre un’offerta formativa varia e ricca di opportunità scolastiche ed extrascolastiche con percorsi formativi multidisciplinari, viaggi d’istruzione, visite guidate, visione di film presso sale cinematografiche, rappresentazioni teatrali in loco e non”.
Il bello è che potreste scegliere altre quattro scuole a caso e otterreste il medesimo effetto straniante di una scuola italiana classista – e pure un po’ razzista – che pesa le sue auto valutazioni (anche) in funzione della dichiarazione dei redditi dei genitori dei suoi studenti e della loro provenienza geografica.
Il bello (o il brutto) è che è così perché è così che vogliono i criteri di pubblicazione di questi documenti, così come prescritto dal ministero. L’indicazione di un ceto sociale alto, medio o basso è desunto infatti dall’indice ESCS (Economic, Social and Cultural Status) che definisce sinteticamente lo status socio-economico e culturale delle famiglie degli studenti, che ogni scuola provvede a compilare. Sottolineiamo: ogni scuola.
Quanto questo possa essere corretto per permettere alle famiglie di confrontare i vari plessi, lo lasciamo agli esperti. Il rischio – o meglio, la realtà delle cose – è che queste informazioni finiscano per polarizzare la popolazione scolastica, in gruppi sempre più omogenei, anziché mitigare differenze sociali che già esistono: i ricchi nelle scuole dei ricchi, i poveri in quelle dei poveri. Gli italiani con gli italiani. Gli stranieri con gli stranieri. Indovinate quali saranno gli studenti con più opportunità, voti più alti, insegnanti più motivati. Indovinate quali saranno i parcheggi per gli stranieri, con insegnanti paracadutati dall’iperspazio e zero risorse per attività extracurriculari. Forse un”altra scuola è possibile. Ma se pensate che via Trionfale sia un’eccezione siete davvero fuori strada.