Giovanni Scattone rinuncia al suo ruolo di insegnante di Psicologia e Scienze dell’educazione, che gli spetterebbe di diritto. Da precisare che insegnante lo era già da tempo, ora sarebbe entrato di ruolo nell'istituto professionale Luigi Einaudi, a Roma. Quindi al solito: si tratta di polemiche e preoccupazioni che scoppiano all'improvviso per acclamazione popolare.
Rinuncia a un posto di lavoro guadagnato con le sue capacità, dopo aver pagato il suo debito con la giustizia. Compie questo passo con l'onestà di dire: “non sono sereno, non potrei insegnare”. Posizione che ci si aspetterebbe per esempio da qualche politico, ogni tanto. Quando ci saranno frasi come: “non sono sereno, non me la sento di votare le riforme della Costituzione”?
La signora Aureliana madre di Marta Russo la cui morte come da sentenza è stata causata da colpa e non da dolo, e cioè non è stata voluta, ha così commentato questa rinuncia:
“Sono soprattutto contenta per gli studenti. Sono convinta che anche Scattone debba lavorare, ha scontato la pena. Ma non può essere un educatore. Con quello che ha fatto, questo non è il suo ruolo”.
“Quello che ha fatto” è togliere la vita a una ragazza. E non ha un prezzo di risarcimento secondo la madre, secondo la nostra morale, secondo il nostro sentire. Poi c'è la giustizia. Secondo la giustizia, Scattone, non volendo, ha ucciso la ragazza. Ha pagato, pur sentendosi sempre innocente. Ora è una persona libera, ha studiato, si è costruito una strada di riabilitazione. I giudici non l'hanno mai sollevato da questa facoltà.
Invece la sua decisione, come conseguenza di un' incontrollabile levata di scudi contro il suo reinserimento nella società con un ruolo di insegnante (e perché no?), scrive una bruttissima pagina di inciviltà, altamente diseducativa per tutti, giovani e meno giovani e che finirà, assieme alle altre, per delegittimare, come lo è già nei fatti, la nostra Costituzione. Se c'è una persona adatta a insegnare – psicologia, inoltre o filosofia – è proprio chi ha vissuto sulla propria pelle un passaggio del genere, chi ha avuto il tempo di maturare e di crescere nel dolore, più di chiunque altro.
I processi non li fanno né li decidono i congiunti delle vittime, le vittime stesse se possono ancora farlo, la rete, l'opinione pubblica ciascuno strillando nei mezzi e modi disponibili la propria opinione. Non saremmo neanche più una democrazia, ma una dittatura delle più infami e ingiuste, in cui regna “il male per male” o “occhio per occhio”. Tutti principi che si possono applicare ciascuno nel modo più fantasioso e ingiusto. Così la signora Aureliana Russo ha tutto il diritto di auspicare pubblicamente quello che meglio crede, se lo ritiene adeguato a risarcire l'insanabile ferita che le ha causato la morte della sua giovane figlia. Ogni genitore che trovi ingiusto che una persona come Scattone insegni alcunché ritiri il proprio figlio dalla classe, ma davvero fa paura la piega che sta prendendo la percezione collettiva della detenzione, delle pene, della giustizia che ci rende sempre più prossimi alle dittature (quelle che poi ci affrettiamo anche a giudicare).
Come non ricordare il caso di Schettino mai andato a fare nessuna lectio magistralis sul “panico”, mai entrato in un'aula della Sapienza, ma solo presente in un convegno di criminologi? Quanti commenti circolano ancora “ dopo Schettino alla Sapienza a insegnare, ora anche un assassino?”. A cosa vale spiegare, informare, precisare, se una furia senza senso prevale sempre di più? Non si capisce perché allora non si prenda in mano la situazione e non si cominci a mettere in discussione il dettato costituzionale, visto che si intende continuare a far decidere la rete o le vittime o i loro familiari al posto dei giudici.
La Costituzione, fondata sul rispetto della persona e della sua dignità, riguardo le pene detentive dice «non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27, c. 3: umanità e funzione rieducativa della pena). Come è stato fatto notare da più di un costituzionalista neanche la parola “rieducazione” è un bel termine, giacché evoca regimi autoritari che esercitano violenza sulla libertà morale.
Non è molto più inquietante che sia stata la rete a decidere, un'opinione pubblica perennemente tenuta all'asciutto da ogni riferimento con i nostri fondamentali del diritto che ci fanno ancora sentire non solo paese “civile” ma anche “moderna democrazia”? A chi grida a più non posso lo scandalo di Scattone possibile insegnante non viene forse in mente che quella del reinserimento è una forma di garanzia, un successo della tenuta della nostra democrazia?