Ogni volta che si parla di manifestazioni o azioni per il clima, si dà ormai quasi per scontato che ad essere coinvolte siano soprattutto persone giovani. Da quando Greta Thunberg si è seduta con un cartello davanti al Parlamento Svedese, il collegamento tra ambiente e nuove generazioni è un automatismo. Nei reportage dei media mainstream durante le giornate di sciopero per il clima, non mancano mai le classiche domande sulla dimensione generazionale della manifestazione: “Sei arrabbiato con gli adulti?", "Quanti anni avete?", "Cosa vuoi dire alle generazioni precedenti che vi guardano?”. E così via.
Queste domande mancano sempre il punto chiave dell’attivismo per il clima: non ha una sola dimensione. Attraversa e interessa diverse fasce della popolazione (tranne, ovviamente, chi sta speculando sulla crisi climatica), e racchiude le rivendicazioni di lotte apparentemente divise. È necessario comprendere questo per capire che i movimenti come Fridays For Future, sebbene siano youth-led (guidati dai giovani), non escludono persone più anziane. Nelle assemblee si incontrano spesso e volentieri persone di tutte le età, a volte anche pensionati, genitori e insegnanti. L’aspetto intergenerazionale col tempo è diventato sempre più un’esigenza.
Una rappresentazione stereotipata presenta l'emergenza climatica come un affare che interessi solo i giovani, un racconto che non tiene conto che gli effetti dei cambiamenti climatici sono già presenti qui e ora. Le vecchie generazioni dovrebbero attivarsi anche per una questione di interesse personale. La crisi climatica non sarà solo una disgrazia che dovranno affrontare i giovani, ma mette a rischio la salute dei cittadini più anziani e delle persone più fragili. Ad esempio, diverse indagini epidemiologiche mostrano l’aumento della mortalità durante le calure estive, specialmente in città. Anche l’Istat, nel rapporto sugli indicatori demografici del 2022 uscito il 7 aprile 2023, ha dichiarato che la crisi climatica sta "assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza", specialmente per la popolazione over 65.
La crisi climatica ha un impatto notevole sulla vita degli anziani, che spesso hanno anche più influenza dei più giovani per spingere istituzioni e aziende ad affrontarla. Un esempio è il caso delle banche che continuano imperterrite a investire nei combustibili fossili, andando contro l’evidenza scientifica e i trattati internazionali. In questo frangente, gli studenti o i giovani lavoratori con salari esigui e contratti a tempo determinato non avranno l’influenza di chi deposita reddito e risparmi in queste banche da anni. Se a ribellarsi sono loro, i clienti regolari, il discorso cambia.
Negli Stati Uniti un'organizzazione per attivisti over 60, Third Act, ha deciso di far leva proprio sul potere dei propri risparmi inaugurando Rocking Chair Rebellion (la "Ribellione delle sedie a dondolo"). Il 21 marzo 2023 migliaia di pensionati in più di 90 città d'America hanno dato vita a delle manifestazioni di fronte le sedi delle banche che ancora investono nel fossile, presentandosi con le loro sedie a dondolo. In alcuni casi gli attempati attivisti per il clima hanno tagliato le loro carte di credito come gesto di protesta, in altri hanno occupato le hall delle banche con conseguenti interventi delle forze dell'ordine con fermi e arresti. In questo caso le proteste erano guidate da anziani ma partecipate anche da giovani. In Svizzera e Francia è un gruppo di donne che ha scoperto l'attivismo climatico grazie in molti casi ai propri nipoti, ad essersi mobilitato presentando un esposto alla Corte europea dei diritti dell'uomo per ottenere azioni concrete sul clima da parte dei governi nazionali
Bill McKibben, uno dei fondatori di Third Act, ha apertamente criticato chi afferma che risolvere il problema del clima sarà compito delle nuove generazioni, definendolo “Stupido, ingiusto e poco pratico". All’Independent ha dichiarato che “I giovani […] da soli non hanno abbastanza potere strutturale per risolvere questi problemi nel tempo che abbiamo a disposizione". McKibben è un veterano dell’attivismo per il clima. È stato tra i fondatori di 350.org, organizzazione che è stata particolarmente importante nelle grandi mobilitazioni contro la COP19 sul clima di Copenaghen del 2009. In quel momento sembrava che il movimento per la giustizia climatica fosse a una svolta, ma bisognerà aspettare dieci anni, con la grande ondata di scioperi globali del 2019 per vedere davvero gli effetti di quelle mobilitazioni.
Chi, come McKibben, era già attivo a Copenaghen non necessariamente deve essersi ritirato dalle battaglie con la nascita dei nuovi movimenti degli ultimi anni. Anzi, è importante che, se la stanchezza lo permette, chi c’era prima continui ad esserci adesso, con iniziative ad hoc e partecipando alle battaglie organizzate delle nuove generazioni. L'esperienza e la storia di chi ha lottato prima di noi (a patto che metta da parte paternalismo e demoralizzazione), sono importanti più di qualunque tipo saggio sulla teoria del cambiamento.
In questo scambio è fondamentale il rispetto reciproco, e gli attivisti di vecchia data devono accettare che i nuovi movimenti siano a guida giovanile. È importante che chi si unisce a movimenti fondati dai giovani non finisca anche inconsciamente per prevaricare in nome dell’esperienza accumulata nel tempo, ma quella esperienza è fondamentale per non percorrere gli stessi errori e imparare dalle sconfitte di ieri per preparare le vittorie future.
La bellezza dell'attivismo per il clima è il senso di unità che crea tra battaglie e generazioni diverse. Questo accade perché la soluzione a problemi diversi è una sola: un cambiamento strutturale del nostro modo di vivere e di rapportarci tra di noi e con la natura, una transizione che sia ecologica ma che sia anche giusta. Per raggiungere questi obiettivi, i movimenti per il clima non possono permettersi di escludere neanche una fascia della popolazione coinvolta. Allo stesso tempo devono accettare che, laddove una di queste fasce ha più influenza di un'altra, la leadership sia per lo meno condivisa. E questo vale anche per questioni di classe, di genere e di discriminazione razziale, dove è fondamentale lasciare le redini a chi è sistematicamente oppresso.
Non è quindi l'aspetto generazionale a caratterizzare l’attivismo per il clima, o perlomeno non dovrebbe esserlo e non ci dovrebbe essere una netta separazione tra chi si deve far carico della lotta. Troppo spesso, parlando di quello che fanno gli attivisti, gli anziani si pongono come spettatori. Nei salotti televisivi l'opinionista di mezza età commenta azioni e rivendicazioni degli attivisti come se fosse esente dall'affrontare la crisi climatica, come se la crisi climatica non lo riguardasse. È un atteggiamento miope e limitato, perché la crisi climatica non è il nostro futuro è il nostro presente come già abbiamo ricordato, ma soprattutto perché risolverla non è una vicenda che riguarda i giovani in quanto categoria a parte.
La verità è la lotta per il clima è e deve essere sempre più trasversale e olistica. Anziani e anziane, uomini e donne di ogni età, venite con noi: non c'è un modo solo di salvare il nostro mondo, a ognuno il suo!