Ora, molto lentamente e con incredibili sforzi, si viene a sapere che Giulio Regeni è stato torturato ripetutamente. Meglio: ora c'è qualcuno che lo dice e fortunatamente si comincia a scrivere. Certo la morte del giovane ragazzo italiano ha innescato meccanismi ben diversi dalla limpida ricerca della verità come dovrebbe essere: stridono i rapporti diplomatici, sferragliano gli scontri di intelligence e sotto traccia si muovono rapporti sottaciuti. Per dirla breve, c'è un odore terribile introno alla morte di Giulio e ogni giorno che passa diventa necessario sempre più forza per scardinare una crosta che si solidifica al passare del tempo.
Il fatto che ancora oggi, nel 2016, si possa infatti ritenere legittima qualsiasi azione necessaria al bene dello Stato è la strettoia che rischia di portare la vicenda di Giulio nel solito vicolo cieco. Un vicolo cieco, vale la pena ricordare, in cui ci sono parcheggiati gli scheletri di questa Italia che ha una naturale predisposizione ad affezionarsi a segreti di stato più o meno ufficiali. Per questo credo che conti soprattutto spostare la discussione da dove è adesso, sfilacciata tra chi chiede di ritirare l'ambasciatore italiano e il Ministro Gentiloni che prova ad alzare la voce, e riportare tutto al cuore della situazione: questo Governo vuole (e ne ha le possibilità) di essere più coraggioso della Ragion di Stato? Questo è il punto focale, questa è la risposta da pretendere senza fraintendimenti e mediazioni ed è qualcosa che non spetta all'Egitto, ma ai nostri governanti.
Se anche Rosa Calipari nella sua intervista a Fanpage parla senza mezze misure di «un punto di equilibrio che bisogna trovare tra il diritto individuale, che va sempre sostenuto, e la ragione di Stato» perché, dice «bisogna tutelare la famiglia di Giulio da una parte e i rapporti con l'Egitto dall'altra» significa che l'indagine oggi dipende da una strenua attività politica prima che giudiziaria. Rosa Calipari, del resto, è la vedova di quel Nicola Calipari morto in circostanze ancora misteriose (o sarebbe meglio dire "indicibili") al un posto di blocco statunitense che avrebbe dovuto essere "amico". Le parole di Rosa Calipari, personalmente, instillano tutt'altro che ottimismo.
Eppure dal 1589 (quando il filosofo Giovanni Botero scrisse il trattato ‘Della ragion di Stato' a Venezia) ad oggi risulta quasi impossibile scardinare una legge non scritta che è diventata diritto acquisito. Secondo i sostenitori della Ragion di Stato (declinata poi quasi sempre in ‘segreto di Stato') essere realisti (loro lo scrivono così, quest'atto del tacere ciò che si crede vada taciuto) è l'unica soluzione per mantenere stabile l'ordine sociale ed economico del proprio Paese. In pratica: qualcuno ha il diritto di decidere cosa abbiamo diritto di sapere. Va da sé che il tutto è in nome della sicurezza nazionale, ovvio.
Eppure questo Paese è lo stesso che non ha mai accettato il fatto che per la tragedia di Ustica, ad esempio, una sentenza di cassazione ha dichiarato che "il depistaggio è definitivamente accertato". Ovvero una sentenza di tribunale certifica che gli 81 morti del DC9 Itavia hanno il dovere di non sapere così come i loro famigliari. Segreto di Stato, dissero, mentre anche allora si cominciò una fitta opera di delegittimazione contro chiunque esercitasse un poco di curiosità: silenzio in cambio un buon accordo per l'Euro con la Francia, qualche prezzo di favore per il petrolio dalla Libia e una pioggia di complimenti dagli USA.
Questo è il Paese dove la strage del Cermis ha falciato la vita a 20 persone perché i piloti americani volavano troppo bassi per filmare le splendide montagne della loro mortale gita fuori porta. Qualche anno fa uno dei piloti disse di avere distrutto quel filmato amatoriale subito dopo l'incidente per non destare sospetti. Eppure anche in quell'occasione nonostante le dure parole di Romano Prodi (quelle pubbliche, ovviamente) si decise di rispettare gli accordi NATO e far giudicare i colpevoli negli USA: «faremo giustizia» disse Clinton. E così si arrivò alla scandalosa sentenza americana: il pilota Richard Ashby dell'aereo è stato assolto nel 1999 per la condotta del volo, nonostante sia stato provato che gli strumenti erano in funzione e si trovasse sotto la quota minima autorizzata. Finita così. Salva la Ragion di Stato, ci dicono che deve bastare.
E così succede che la bugia debba reggere soltanto il tempo di diventare ‘storia' ed essere affidata ad ‘altri momenti', un altro contesto e ‘altre situazioni' che sono gli ingredienti perfetti per chiudere i cassetti ai curiosi. Per questo oggi al governo italiano bisogna chiedere con forza di dirci chiaramente e subito se davvero ha intenzione di cercare la realtà dei fatti oppure solo una giusta mediazione con l'Egitto. Qui non c'è in gioco solo Giulio Regeni e la sua famiglia, che pure non sarebbe poco: qui c'è un rapporto di fiducia con un popolo che deve essere ricostruito dalle macerie delle troppe Ragion di Stato che hanno bucato la storia degli ultimi decenni.