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La pm dello stupro di Palermo: “Revenge porn reato che espone vittima a dramma, giovani spesso non capiscono”

Tra i pubblici ministeri della Procura di Palermo che fin da subito si sono occupati dello stupro di gruppo al Foro Italico nel luglio del 2023 c’è anche la sostituta procuratrice Monica Guzzardi. A Fanpage.it spiega chi sono agli autori di violenza di genere e come si possono impedire questi reati.
A cura di Giorgia Venturini
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Monica Guzzardi è una dei pubblici ministeri della Procura di Palermo che fin da subito si è occupata dello stupro di gruppo al Foro Italico nel luglio del 2023. Pochi giorni fa è arrivata la sentenza di primo grado che ha condannato a 7 anni di carcere quattro dei sei ragazzi accusati. Un quinto imputato ha avuto 6 anni e 4 mesi e il sesto 4 anni e 8 mesi. A denunciare tutto era stata la vittima, una ragazza di 19 anni.

A Fanpage.it la sostituta procuratrice – che si è occupata del caso insieme all'aggiunta Laura Vaccaro e al sostituto Mario Calabrese – racconta Palermo. Spiega chi sono agli autori di violenza di genere e come si possono impedire questi reati.

La sostituta procuratrice del dipartimento fasce deboli di Palermo Monica Guzzardi
La sostituta procuratrice del dipartimento fasce deboli di Palermo Monica Guzzardi

Procuratrice, di quanti casi di violenza sulle donne si occupa all'anno?

Il fenomeno dal punto di vista numerico è fortemente in crescita, è difficile però comprendere se è la conseguenza di un aumento delle denunce da parte delle persone offese o dell'attenzione sempre più alta delle forze dell'ordine. Nel dipartimento fasce deboli ci occupiamo di 4mila casi di codice rosso l'anno. Ovviamente bisogna considerare che non tutti i fascicoli poi portano a un processo.

Personalmente da inizio anno sono stata assegnataria di 300 procedimenti qualificabili come codice rosso, ovvero maltrattamenti in famiglia, stalking, lesioni aggravati da rapporti familiari e violenze sessuali. Le vittime non sono solo donne, ma ovviamente la gran parte.

Come siete organizzati in Procura?

A Palermo c'è un'organizzazione molto particolare che credo sia solo in questo ufficio, si chiama "turno codice rosso". Cioè ogni giorno c'è sempre un magistrato – che appartiene al dipartimento fasce deboli (composti sulla carta da 13 sostituti procuratori ma non siamo a pieno organico) – che studia i fascicoli che vengono iscritti in quelle 24 ore: per ogni caso decide se procedere con l'audizione entro tre giorni, come prevede la legge. Questo è il nostro criterio organizzativo e ha avuto successo: consente di agire nell'immediatezza.

Palermo che città è, in base alle tematiche di cui si occupa lei?

Palermo è una città complessa e ricca di contrasti e contraddizioni. Questo aspetto è soprattutto molto evidente nella materia in cui mi occupo.

Bisogna inoltre considerare che spesso questi reati hanno un focus sui rapporti famigliari. Palermo dal punto di vista socio-economico è una città difficile. Non c'è quartiere della città che sia immune a questo tipo di violenze, ma sicuramente ci sono zone dove si concentrano maggiormente. Come nei quartieri molto popolari, lo Zen e Brancaccio.

Nei casi che segue lei chi sono spesso i maltrattanti sulle donne a Palermo?

La violenza spesso è usata dal figlio, in molti casi tossicodipendente, verso la madre. Bisogna tenere conto che in questa città è frequente l'utilizzo del crack, la sostanza stupefacente americana. Questo a sua volta può essere la causa dei reati di maltrattamenti ed estorsioni perché, soprattutto i ragazzi, sono alla ricerca disperata di soldi che vengono spesso chiesti ai genitori. Ci capita quindi di ascoltare madri disperate che si rivolgono alle forze dell'ordine per chiedere aiuto, non vogliono però denunciare o allontanare il figlio da casa. Chiedono aiuto, ma è inevitabile che la macchina della giustizia si metta in moto.

Nel caso di famiglie mafiose rivolgersi alle autorità diventa ancora più difficile…

Chi appartiene alla criminalità organizzata certo non chiederà aiuto alle forze dell'ordine. In questo caso a segnalare i sospetti di una violenza domestica sono terze persone. Come gli insegnanti dalle scuole dei figli o i servizi sociali se la famiglia con minori è seguita da loro. Proprio perché non tutti i procedimenti di codice rosso si avviano dopo una denuncia.

In qualsiasi caso le donne che subiscono maltrattamenti vengono messe in una comunità protetta e seguite dalle tante associazioni presenti sul territorio. Purtroppo in alcuni casi le donne poi decidono di tornare a casa e non restare in comunità.

Perché?

Perché spesso alle donne manca una dipendenza economica. Fondamentale per chi cerca la libertà. Capita anche spesso che – nonostante noi lavoriamo nell'immediatezza – il processo vada per le lunghe per il carico di lavoro in Tribunale: in attesa di una sentenza può succedere che le persone offese ridimensionino la gravità di quanto accaduto. A volte perché ci sono di mezzo i figli. "I miei figli mi hanno chiesto di perdonare il loro padre", una frase che sentiamo spesso dire alle donne vittime di maltrattamenti in famiglia.

Sono sempre più giovani gli autori delle violenze sulle donne a Palermo?

Principalmente gli autori di queste violenze si possono dividere in due categorie. Da un lato, soprattutto per quanto riguarda i reati di maltrattamenti, abbiamo il "padre padrone": ovvero un uomo di una certa età con una concezione precisa e sbagliata dei rapporti famigliari e del ruolo della donna. Dall'altro, ci sono i giovani: questi, come abbiamo detto, spesso sono maltrattanti nei confronti dei genitori e stalker nei confronti delle ragazze.

C'è infatti chi non accetta la fine della relazione sentimentale dando vita ad atti persecutori, come pedinamenti, danneggiamenti e nei casi più gravi lesioni personali. C'è chi perseguita la vittima perché non sono riusciti a intraprendere una relazione con questa. Ma anche, in casi più rari, c'è lo sconosciuto che inizia a commettere atti persecutori: qui sono soprattutto persone che hanno un problema psichiatrico.

Come nel caso dello stupro di gruppo di Palermo, sempre più ragazzi filmano con il cellulare quando commettono un reato. Girano video che poi inviano all'amico. Che tipo di reato è il revenge porn? I giovani capiscono che stanno commettendo un reato?

Si tratta di un reato giovane, introdotto con il codice rosso. Tiene conto del crimine in generale e dell'evoluzione digitale. Si tratta di un reato di una particolare offensività che chi lo commette spesso non se ne rende conto. Espone la vittima a un ulteriore dramma: il video l'hanno visto tante persone e con i social spesso diventa virale. A Palermo i casi di revenge porn ce ne sono diversi. Esiste anche una parte di sommerso, ovvero molti casi restano sconosciuti.

Un ragazzo accusato di revenge porn spesso non capisce di aver commesso un reato perché lo sminuisce: lo giudica una "semplice" conversazione tra amici. Viene considerato uno "sfogo" tra gruppo di amici su Whatsapp.

Come si fermano i reati che hanno spesso come vittime le donne?

Bisogna puntare su un'educazione sentimentale per entrambi i generi e su un'educazione digitale. Anche alcune donne talvolta, soprattutto di una certa età, non hanno gli strumenti per capire cosa stanno subendo. Si deve iniziare a educare a scuola e un ruolo importante lo hanno anche gli enti del terzo settore, come le organizzazioni antiviolenza che a Palermo fortunatamente non mancano. Bisogna spiegare a maschi e femmine l'emancipazione della donna: l'importanza – ripeto – è l'indipendenza economica e psicologica, solo così la donna evita il ricatto.

L'indipendenza economica o meno è quindi legato a un altro problema, quello della disoccupazione femminile soprattutto al Sud. Lo si percepisce a Palermo? 

Anche in questo caso dipende dai quartieri. La disoccupazione femminile a Palermo si sa che esiste e sicuramente va a influire su altri temi. É anche vero che la violenza di genere è un fenomeno trasversale: i maltrattamenti si riscontrano in ogni tipo di contesto sociale, solo che le cause alla base possono essere diverse.

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