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La pillola dei 5 giorni dopo, l’ennesimo terreno di scontro (inutile)

A settembre il ministero della salute aveva dichiarato che “entro un mese” avrebbe risolto la questione della eventuale messa in commercio della pillola dei 5 cinque giorni dopo: dopo vari mesi ancora non si è affrontato il problema e ci si chiede perché.
A cura di Nadia Vitali
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Mentre il mondo occidentale si muove sempre più alla conquista di diritti che possano significare, finalmente, libertà di scelta, una libertà che permetta di prescindere dagli orientamenti religiosi più o meno seguiti, in favore delle più alte forme di libero arbitrio, in Italia, naturalmente, si manifesta una controtendenza che andrebbe definita allarmante. L'Italia è il paese in cui si può passare una notte insonne alla ricerca di un pronto soccorso in cui non ci sia un obiettore di coscienza, per poter avere la pillola del giorno dopo. L'Italia, di contro, in cui gli scandali sessuali sono talmente ricorrenti da non avere neanche quasi più la connotazione di eventi significativi, per la storia nazionale. L'Italia, diventata patria delle libertà all'insaputa di tutti, quando si diceva, a proposito del caso Rubi, che la scelta di usare il proprio corpo come merce è un'alta forma di emancipazione femminile: lo stesso paese in cui si aspetta da mesi la messa in commercio dell'ulipristal, contraccettivo di emergenza che funziona fino a cinque giorni dopo il rapporto a rischio, 120 ore di validità in luogo delle 72 della pillola del giorno dopo.

Ellaone, questo il nome del farmaco, è già in commercio da tempo in Germania, Regno Unito, Francia, Spagna ed ha ottenuto il via libera negli Stati Uniti: in Italia sarebbe dovuto arrivare nel corso del 2010 ma, naturalmente, presunti ostacoli "ideologici" si sono interposti da allora. L'ente europeo per il controllo dei farmaci ha approvato la pillola, sebbene questa sia ancora sottoposta ad accurati studi in Francia per verificarne eventuali effetti collaterali più gravi di quelli che finora sono stati riscontrati: nausea, mal di testa, dolori addominali. Nel frattempo, nel nostro paese, il Ministero della Salute aveva dichiarato, a settembre, che  la questione della messa in commercio del contraccettivo sarebbe stata dibattuta "entro un mese", per bocca del sottosegretario Eugenia Roccella, colei che scelse di commemorare la Giornata nazionale degli stati vegetativi nel giorno della morte di Eluana Englaro suscitando le dovute polemiche ad una scelta che calpestava letteralmente la sensibilità di familiari ed amici della ragazza deceduta dopo 17 anni di coma. Ma evidentemente quel mese è passato, assieme a molti altri, senza che si pronunciasse parola in proposito.

In realtà, parrebbe, che nella fattispecie il procrastinarsi della questione dipenda più da presunti problemi "etici" relativi al funzionamento della pillola: se questa infatti risultasse fare effetto a concepimento avvenuto, diverrebbe un farmaco abortivo e non contraccettivo. Nel frattempo l'Agenzia Italiana del Farmaco si è detta preoccupata "riguardo alle eventuali conseguenze di un uso ripetuto", come riportato da Repubblica. Una preoccupazione sensata, se non bastasse, per rimuoverla, fare un'adeguata campagna informativa sulla sessualità, non solo con i più giovani (l'ignoranza in materia nel nostro paese è drammatica e riguarda tutte le fasce d'età), superando gli abietti bigottismi che ci stanno lasciando sempre più indietro rispetto a paesi che dovremmo imparare a prendere come nostro modello, ammettendo con umiltà che c'è ancora bisogno di tanto, tanto progresso, da noi.

I Radicali si sono espressi sul problema: secondo la Senatrice Donatella Poretti, le ragioni che tengono la questione in sospeso sono, ancora una volta, da ricercarsi non nelle questioni tecniche e scientifiche che la pillola potrebbe sollevare, bensì, come sempre, nella politica, interessata a strumentalizzare argomenti delicati come questi, come già accaduto per numerose questioni, quali la pillola abortiva Ru 486 e il testamento biologico. Il fatto che l'Ente europeo per il controllo dei farmaci, abbia dato il via libera alla commercializzazione dell'ulipristal, per altro, in un certo senso obbliga l'Italia, membra anch'essa dell'ente, a sciogliere le riserve e a permetterne la vendita.

Forse per semplice negligenza o forse per secondi fini politici, fatto sta che una situazione che avrebbe potuto essere sbloccata facilmente parecchio tempo fa, si sta trascinando insensatamente e rischia di trascinarsi ancora a lungo, se non si ammette chiaramente quale problema comporti, secondo il nostro Ministero della Salute, questo farmaco già diffuso in altri paesi: auguriamoci soltanto di non doverci sentir ripetere le solite favole sull'etica. Forse non sarebbe proprio il momento adatto.

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