«A Napoli abbiamo tanti problemi ma è tutta n'ata storia!» scrive su Twitter il sindaco Luigi de Magistris. E in effetti l'altra storia di Napoli c'è e parla di debiti non pagati, di lavori incompiuti, di case che cadono a pezzi e manutenzioni fantasma. È l'altra storia, quella che né i vincitori né i vinti hanno scritto: è quella dei delusi. Doveva essere il lustro che avrebbe cambiato la città, quello della rivoluzione arancione. E invece, se tutto andrà bene, sarà ricordato come il quinquennio in cui Napoli ha rasentato per l'ennesima volta il baratro. Riuscirà a sfangarla? O al Municipio occorrerà trovare spazio per le scrivanie dei funzionari del ministero dell'Interno chiamati ad aprire l'ufficio Dissesto, così come accadde già all'inizio degli anni Novanta? Qualche giorno fa de Magistris ha convocato assessori e dirigenti sprizzando ottimismo da tutti i pori: «Il dissesto è scongiurato», ha detto. Perché? Da cosa deriva tutto questo ottimismo? Per capire, però, occorre fare un salto indietro di qualche settimana.
Alla fine di gennaio la sezione campana della Corte dei Conti ha bocciato il piano di riequilibrio finanziario del Comune di Napoli. I magistrati contabili hanno detto no alla ricetta individuata dal primo cittadino e dalla sua giunta per risanare le casse civiche oberate da debiti in gran parte ereditati. Motivi? Quelli principali sono il personale che costa ancora troppo (l'Amministrazione comunale di Napoli è la prima azienda pubblica del Sud con oltre 10mila dipendenti, un numero cresciuto a dismisura sotto tutte le amministrazioni precedenti) e il buco nero delle aziende partecipate (nate con la riforma dei comuni degli anni '90). Il patrimonio immobiliare da vendere? Siamo all'anno zero e le prospettive infilate nei bilanci sono ben lontane dall'essere raggiunte. Le multe? I napoletani non le pagano e nessuna amministrazione è mai stata in grado di riscuoterle efficacemente. Il resto è tutto ciò che si può inscrivere sotto la parola disastro: manutenzioni (alloggi popolari, strade, illuminazioni, parchi pubblici) inesistenti, trasporti pubblici in crisi, servizi sociali al collasso. «La bocciatura al piano di rientro del Comune è una decisione iniqua» ha detto il sindaco partenopeo annunciando il ricorso. Nel frattempo si è mosso politicamente: incontri con Giorgio Napolitano, con l'Anci, coi due ormai ex ministri del governo Letta a Coesione territoriale (Trigilia) e Affari regionali e autonomie (Delrio) e poi iniziative locali, ultima sabato scorso con Italia dei Valori.
Insomma, la via d'uscita c'è. Ma costa cara. La "leggina" salvaNapoli (e non solo Napoli) metterebbe per i prossimi due anni e mezzo il capoluogo campano nelle condizioni di non poter spendere nemmeno più un centesimo. Insomma, la città sarebbe imbrigliata dal suo bilancio e dai suoi debiti. E l'ottimismo della volontà del sindaco arancione si scontrerebbe col pessimismo della ragione della magistratura contabile. Tutto ciò come si ripercuote sulla cittadinanza? In un videoreportage di Alessio Viscardi mostriamo gli effetti della mancanza di quattrini nelle casse comunali: i servizi sociali fermi, il rischio di crac per alcune aziende partecipate come la Bagnolifutura che doveva guidare la trasformazione urbanistica dell'area Occidentale e ora potrebbe finire coi libri in tribunale. «Non vogliamo più vivere, infatti, la condizione di ‘terzo incomodo' fra regioni e governo, ma vogliamo appunto operare secondo autonomia e responsabilità» dice De Magistris. La sua richiesta di autonomia è però qualcosa che mal si concilia con la nuova agenda politica del premier incaricato Matteo Renzi. E così il sindaco arancione che nel corso degli anni pure non ha risparmiato stilettate a suo omologo fiorentino, ora cerca una sponda: «Renzi potrebbe essere la persona giusta per svoltare nei rapporti tra Napoli e il Governo», dichiara. Nel frattempo nel consiglio comunale partenopeo la maggioranza arancione, un tempo blocco granitico, si sfalda come gesso: basti pensare che "Napoli è tua" la lista civica che guidò la cavalcata dell'ex pm a Palazzo San Giacomo è rimasta con un solo elemento. Pure Italia dei Valori, altro partito di riferimento del sindaco, di recente ha perso un altro consigliere (Marco Russo). Insomma: in Aula de Magistris sopravvive soltanto grazie ai voti del gruppo Misto.
Eppure nel 2011 l'allora assessore al Bilancio Riccardo Realfonzo, poi sfiduciato dal primo cittadino partenopeo, in una "due diligence" aveva proposto una ricetta lacrime e sangue per raddrizzare il Titanic comunale. Una medicina amara ma necessaria, secondo il docente universitario di Economia, per salvare il salvabile. La storia è nota: sulle divergenze tra sindaco e assessore si è consumato uno scontro poi finito, per altri motivi, anche in Procura.