“La mia famiglia è a Gaza, mio padre ferito dalle bombe deve uscire da lì. Vorrei fossero al sicuro”
Sara Thabit Dogmash ha vissuto gran parte della sua vita a Gaza: nata a Berlino è rientrata da piccola nella Striscia, insieme alla sua famiglia. Nel 2018 è arrivata in Italia per studiare scienze politiche a Siena. Dopo un breve ritorno a Gaza si è ritrasferita in Italia, questa volta a Milano, dove l'abbiamo incontrata.
In un bombardamento del 18 dicembre 2023, l'esercito israeliano ha colpito l'abitazione della sua famiglia: il padre è stato ferito gravemente alla gamba e rischia l'amputazione.
"Non ho avuto notizie della mia famiglia per 25 giorni – spiega – poi sono riuscito a chiamare mia mamma e mi ha raccontato che papà era in ospedale e la nostra casa era stata bombardata due volte", prima a novembre e poi il 18 dicembre.
Il padre di Sara, Thabit Yousif Doghmash, 62 anni, è stato trasferito dall'ospedale di Al-Shifa, non lontano dall'abitazione di famiglia, a Rafah e ora, pur avendo una richiesta dei medici per essere operato fuori da Gaza, sta aspettando un permesso per lasciare la Striscia e avere le cure di cui ha bisogno.
"Non riusciamo a farlo uscire da Gaza – racconta Sara a Fanpage.it – i medici hanno chiesto di farlo uscire, stiamo aspettando un permesso ma non sappiamo da chi". Ad accompagnare Thabit c'è una delle sorelle di Sara, una ragazza di 22 anni.
"I nostri sogni, le nostre famiglie"
"Stanno usando la sofferenza dei palestinesi, quanto più puoi pagare più puoi uscire" è la denuncia di Sara.
"Non capisco il silenzio internazionale, non stanno facendo niente per i palestinesi, mio padre non ha fatto male a nessuno, perché i nostri sogni, le nostre case, le nostre famiglie stanno soffrendo così?".
Tra case distrutte, blackout e situazione sanitaria precipitata, i beni di prima necessità diventano introvabili: "La farina è passata da 50 shekel a 1500 shekel, la gente muore di fame, di freddo, senza casa, senza niente, perché il mondo accetta questa cosa?".
Vivere lontano da casa, con le comunicazioni interrotte e il timore che a uno squillo di telefono corrisponda una brutta notizia, aggiunge altro dolore. Tra le speranze di un futuro libero e pacificato a Gaza e l'attualità della guerra – "soffriamo da 75 anni" – il pensiero di Sara è rivolto ai suoi genitori, sorelle, fratelli e nipoti che vivono sotto le bombe: "Vorrei che mio padre dormisse la notte, che mia sorella possa riposarsi, vorrei che la mia famiglia fosse in un posto sicuro che a Gaza non abbiamo ora".