Ricordate il "Contratto con gli italiani", siglato da Silvio Berlusconi negli studi di Porta a Porta e volano del trionfo elettorale del maggio del 2001? Bene, stando a quanto riportano voci autorevoli, il Cavaliere ne avrebbe già pronta una versione riveduta e corretta, con tanto di nuovi obiettivi e nuovi impegni. Questa volta le indiscrezioni parlano dell'abolizione dell'IMU, di nuovi posti di lavoro, della riduzione della tassazione e di un non meglio precisato "colpo a sorpresa". Una proposta shock in campo economico, il colpo di teatro dell'ultim'ora, magari sulla scia dell'ormai proverbiale "aboliremo l'ICI", sparato in diretta tv davanti ad un Prodi ammutolito (obbligatoriamente, tra l'altro). Il tentativo è ovviamente quello di "ricominciare a scalare i sondaggi", dal momento che, stando a quanto riporta la quasi totalità degli istituti di rilevazione, la rimonta sembra essersi fermata a metà ed il distacco nei confronti del centrosinistra è sempre nell'ordine dei dieci punti.
Certo è che il contratto con gli italiani bis è un'arma a doppio taglio. Perché, a dispetto di ciò che spesso il Cavaliere ribadisce nei salotti televisivi, le perplessità sugli esiti del primo patto sono tante e ben sorrette da dati e documenti. Nella sostanza erano cinque i punti sui quali il Cavaliere si impegnava, pena la sua ricandidatura nella legislatura successiva (in realtà si dava anche un minimo margine di errore, dicendo 4 su 5):
- Abbattimento della pressione fiscale: con l'esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui; con la riduzione al 23% per i redditi fino a 200 milioni di lire annui; con la riduzione al 33% per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui; con l'abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.
- Attuazione del "Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini" che prevede tra l'altro l'introduzione dell'istituto del "poliziotto o carabiniere o vigile di quartiere" nelle città, con un risultato di una forte riduzione del numero dei reati rispetto agli attuali 3 milioni.
- Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese.
- Dimezzamento dell'attuale tasso di disoccupazione con la creazione di almeno 1 milione e mezzo di posti di lavoro.
- Apertura dei cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal "Piano decennale per le Grandi Opere" considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche, e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni.
Ovviamente riproporre le due aliquote o tornare a parlare del tragicomico esperimento del "poliziotto o carabiniere o vigile di quartiere" non è il miglior spot per il "governo del fare", mentre resta molto interessante capire in che modo il Cavaliere, che ha votato la riforma Fornero (senza tra l'altro impegnarsi più di tanto per modificarla in Parlamento, al netto di fiducie si intende), pensa di intervenire sulle pensioni. E soprattutto come gli italiani valutino (ammesso che abbiano memoria per queste cose) il pressocché fallimentare sostegno ai ceti deboli degli anni di governo Berlusconi (social card inclusa). Quanto al tasso di disoccupazione, l'ultima dichiarazione di Berlusconi è stata: "Nel 2001 l’obiettivo del mio governo era di aumentare l’occupazione di 1 milione di unità. Dopo 5 anni l’occupazione era aumentata di 1,5 milioni di unità".
Un assunto sostanzialmente falso, come ci ricordano gli analisti de lavoce.info: "In base a dati Istat tra il 2° trimestre 2001 ed il 2° trimestre 2006, il numero di occupati è aumentato di 1,066 milioni di unità. L’affermazione di Berlusconi è però solo in parte vera. Non soltanto perché nei 5 anni del governo l’occupazione è aumentata di un milione di unità e non di 1,5, ma, perché la crescita dell’occupazione è rallentata subito dopo il 2001". Insomma, una tendenza che ha subito un "rallentatamento" (e senza nemmeno considerare la "qualità" del lavoro creato, in termini di salari e tipologie contrattuali).
Il quinto punto resta il fardello più grande, il boccone più amaro da digerire. Non solo perché le cifre sono ampiamente lontane da quel 40% su cui si era impegnato il Cavaliere, ma anche perché (accanto al naufragio di alcuni progetti, si veda quello del ponte sullo Stretto di Messina) va registrata nei cinque anni una crescita enorme dei costi necessari al completamento delle opere (che la legge obiettivo portò all'astronomica cifra di 348). Di conseguenza, a dieci anni di distanza, i dati del Servizio studi della commissione Ambiente della Camera fotografarono impietosamente la situazione: "per il 51% delle opere previste si è ancora alla fase di progettazione, mentre il totale delle opere realizzate è solo del 12,6%".
A poco serve lamentarsi degli "scarsi poteri" del Governo, dal momento che si tratta di condizioni già note, dunque da tenere necessariamente in considerazione al "momento della promessa". E riproporre nuovamente il modello – contratto, con le eterne promesse e le solite scuse, non sembra la migliore delle strategie. Certo, gli italiani hanno la memoria corta. Ma il tempo delle illusioni sembra davvero finito. Ora è il momento della rabbia, dell'indignazione e della contestazione. E non a caso, il recupero di Berlusconi è avvenuto sfruttando l'onda lunga della critica all'austerity del Governo tecnico. Da qui a ripresentarsi come forza di Governo però c'è un abisso. E, tra le altre cose, il Cavaliere lo sa bene.