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Opinioni

La manifestazione di Landini mi ricorda di quando sapevamo perché si scendeva in piazza

La manifestazione di oggi a Roma mi ha ricordato un episodio di alcuni fa che mi aveva molto impressionato. Perché scendiamo in piazza senza sapere più neanche le ragioni. Eppure ce ne sarebbe bisogno, oggi più che mai.
A cura di Michele Azzu
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Qualche anno fa a Bologna – era l'ultimo anno di università – ho assistito a una cosa che mi ha molto impressionato, e mi è tornata in mente oggi mentre assistevo alla manifestazione di Landini e della Fiom a Roma (passata quasi inosservata dai media).

“Scendiamo in piazza contro la Legge di Stabilità”, ho letto in alcune interviste a Maurizio Landini. In altre leggo che si manifesta per protestare per le pensioni. Ma anche per i freelance e le partite Iva. Poi, ho letto che si manifesta soprattutto per la riforma della scuola.

Questo però era prima che accadessero i tragici fatti di Parigi: a causa di questi la manifestazione di oggi è diventata soprattutto un corteo contro la guerra. Ma quale guerra, quella dell’Isis contro l’occidente o le nostre bombe sui civili siriani e iracheni? Non l’ho capito.

A dire la verità non ho capito perché si è scesi in piazza – e forse non sono l’unico a giudicare dal basso profilo della manifestazione in piazza e sui media – dove è stata eclissata addirittura dagli “Italian Digital Day”di Torino, la pagliacciata di governo dove ci raccontano le startup digitali facendoci credere che l’Italia sia la Silicon Valley.

A doverla dire tutta, in realtà, non ho capito ancora bene cosa sia Coalizione Sociale, il movimento fondato lo scorso marzo da Maurizio Landini, così come non ho capito quali siano gli scopi della nuova formazione parlamentare Sinistra Italiana – quella di Fassina – o la Possibile di Pippo Civati.

Cosa vogliono fare queste nuove realtà della sinistra? Quali sono i loro obiettivi concreti, e come si propongono di realizzarli? Perché sono divisi tra loro? E perché, come oggi, scendono in piazza? Non lo so, ma a vedere le immagini del corteo di oggi, come dicevo, mi è tornato in mente un episodio del 2009.

Ho da pochi giorni lasciato la città di Bologna, dove ho vissuto gli ultimi 4 anni, e molte cose sono simili a quando ho lasciato la città la prima volta, da studente, alcuni anni fa. Anche allora tornavo in Sardegna per poi trasferirmi in Inghilterra (dove avrei poi vissuto un anno). E anche quella volta come ora – era gennaio 2009 – Bologna era in pieno fermento: da mesi andavano avanti le proteste degli studenti contro la riforma della scuola (Moratti) e contro le politiche del governo Berlusconi. I giornali la chiamavano la protesta dell'Onda.

Assieme a due amiche andammo anche al corteo nazionale a Roma – era il novembre 2008, esattamente 7 anni fa. Nel treno eravamo così tanti che passammo la notte schiacciati l'uno sull'altro nei corridoi (un ragazzo per andare in bagno si arrampicò come l'Uomo Ragno tra finestrini e cappelliere). Arrivammo a La Sapienza di Roma all'alba che eravamo distrutti.

Qualche giorno dopo eravamo in un grande corteo, davvero grande, sui viali di Bologna e ad un certo punto ci fermammo a un incrocio. Allora sapevamo per cosa stavamo protestando. Contro i tagli alla scuola, contro un governo di destra – ricordo che avevo appeso su una porta di casa un ritaglio di Repubblica (Repubblica!) dove erano elencati i punti critici della riforma della scuola.

Sapevamo chi eravamo, per cosa si protestava, i leader erano chiari, era tutto più chiaro e semplice di ora. Il corteo si fermò per un po' e non so come, casualmente, la gente spostandosi formò un cerchio, con un grande vuoto al centro dell'incrocio – le auto erano ferme alla fine del corteo e la gente era uscita dai sedili per sostenerci.

Accadde velocemente: nell'arco di pochi secondi le persone agli estremi del cerchio si guardarono – io ero tra loro – e in un'onda emotiva che ci prese, tutti, contemporaneamente, senza che nessuno desse il comando, iniziammo a correre verso il centro del cerchio, a riempire quel buco, verso le persone dall'altra parte. Corsi pure io, e quando ci scontrammo con quelli che correvano in senso opposto, cazzo che risate. Non so se oggi sarebbe possibile. Non credo oggi le persone – neanche a Bologna – uscirebbero contente dalle auto ferme a causa del corteo, per darci sostegno.

Viviamo in un paese diverso, più scuro, triste e confuso. Vedo la manifestazione di Landini e della Fiom a Roma e penso: ma come siamo potuti finire così? A non sapere più dov'è la destra e la sinistra, a scendere in piazza senza neanche decidere una ragione precisa per cui protestare? E lo so che molti ce l’avranno con me ora, ma questo non vuole essere un post “contro” la sinistra, né una delle tante conversioni sulla via di Damasco di quei compagni che oggi diventano renziani. Io critico per costruire, cerco di capire. E no, non ignoro il fatto che anche di recente ci siano state tante manifestazioni affollate a Roma, ma a me sembra che anche in queste la confusione e la crisi rimangano, si vedono.

Eppure le ragioni sarebbero tante, molto più di quando protestavo da studente. Ci sono i contratti precari, i licenziamenti facili, gli sgomberi continui – e a Bologna da poco ne abbiamo visti di eclatanti – di chi fa cultura o di chi, semplicemente, non ha una casa. Ci sono i giovani senza lavoro, le donne discriminate, ci sono tutte le ingiustizie della vita quotidiana che dal governo non passano perché i loro numeri raccontano una storia diversa.

Ma allora perché non riusciamo a portarle davvero in piazza queste cose? Partendo dal basso, lavorando nelle città prima di scendere in piazza, senza l'obbligo di dover prenotare il corteo ogni autunno solo perché si deve fare. Proponendo, includendo, coinvolgendo (come ad esempio propone un'interessante iniziativa del movimento Act!). Soprattutto, cercando di capire (prima).

Ma secondo voi è possibile ritrovare quel momento di Bologna, sette anni fa, in cui senza sapere il perché, ci mettemmo a correre uno contro l'altro con la gioia di essere tutti assieme a lottare per uno scopo preciso?

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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