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Guerra in Ucraina

La magistrata in fuga dalla guerra per salvare suo figlio: “Non tornerò più alla mia vita in Ucraina”

“Non potrò più fare il magistrato anche quando la guerra sarà finita. Non torno in Ucraina da tre anni”: a Fanpage.it Inna racconta la sua vita, era una ex magistrata ucraina che poco dopo l’inizio della guerra ha deciso di scappare in Italia e salvare suo figlio dalle bombe.
A cura di Giorgia Venturini
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Inna era una magistrata. Una carriera di successo in una delle Procure del Nord dell'Ucraina. Quando è scoppiata la guerra ha scelto di salvare il suo bimbo dandogli una vita sicura in Italia. Ha dovuto però così dire addio alla sua carriera: "Non potrò più fare il magistrato anche quando la guerra sarà finita. Non torno in Ucraina da tre anni: lì le leggi cambiano ogni mese. Non ci sono più soldati, se tornassi rischierei di essere chiamata per impugnare le armi. E non ti puoi rifiutare". A Fanpage.it Inna ha raccontato la sua storia a tre anni dall'inizio della guerra in Ucraina.

Cosa è successo quando è scoppiata la guerra?

Quando è scoppiata la guerra vivevo insieme a mio figlio e a mio marito (ora ex marito) in una città nel Nord dell'Ucraina, Chernihiv, con 300mila abitanti. O meglio, la città più vicina alla Russia. Siamo stati quindi tra i primi a essere invasi. I giorni precedenti all'invasione al lavoro i miei capi sapevano che a breve sarebbe successo qualcosa. Due settimane prima mi avevano detto di eliminare dei documenti. Ma non ci hanno mai parlato di guerra. Capivo che stava succedendo qualcosa, ma poi i miei superiori non hanno mai lasciato la città quindi non mi sono molto preoccupata.

Di che tipo erano questi documenti? 

Documenti sui dati personali degli indagati soprattutto. Nessuna informazione che riguardava però un coinvolgimento russo.

Il giorno dell'inizio della guerra cosa hai fatto? 

Mi hanno chiamata alle quattro di mattina: mi hanno detto di prendere il nostro kit di emergenza che avevamo già pronto e di andare in Procura. Al lavoro nessuno osava nominare quello che stava accadendo. Ufficialmente infatti non c'era ancora nessuna comunicazione. Ci hanno consigliato di prelevare più soldi possibile perché nei giorni successivi sarebbe stato un problema: c'era il rischio che saltasse l'elettricità. Così in tanti in città ci siamo messi in fila agli sportelli.

Il primo giorno du guerra i maschi potevano restare in ufficio mentre le donne, se volevano, potevano raggiungere i loro bambini. Cosa che ho fatto io.

Quando hai capito che era ufficialmente iniziata la guerra? 

Quando in città abbiamo iniziato a sentire le sirene che segnalavano aerei e droni russi. Questa cosa già ti mette in forte ansia perché non sai cosa sta per accadere e come bisogna muoversi. Poi hanno iniziato a chiudere i negozi in città. Siccome mio figlio soffre di fibrosi cistica, sono corsa subito in farmacia per avere ancora più scorta. Ho fatto ore e ore di coda perché quando suonavano le sirene tiravano giù la saracinesca finché non passava il pericolo. La sensazione è che stai attendendo la morte. Sai che sta per succedere qualcosa, anche perché senti aerei che volano. Sai anche però che non puoi fare nulla.

Nella vostra città ci sono stati bombardamenti? 

Sì. La bomba più vicina è caduta nei palazzi vicino al mio, distruggendo tutto. Nel mio condominio sono caduti tutti i vetri. Ci sono stati tanti morti. La farmacia dove facevo la coda non c'era più.

Come si è organizzata la città dopo lo scoppio della prima bomba? 

Ognuno aveva dei compiti. Mio marito, anche lui è un magistrato, insieme ad altri trasportava i cadaveri nell'obitorio e faceva tutti i documenti del caso. Prendeva il nome e cognome della vittima, con tanto di foto. Questo servirà per possibili futuri casi penali.

In questi casi come procede la Procura in un Paese in guerra?

Per noi era tutto nuovo, nel codice penale non avevamo reati di guerra. Le leggi sono state fatte in brevissimo tempo dai nostri parlamentari. Così come da un giorno all'altro sono stati chiamati i ragazzi a combattere, senza che avessero un minimo di addestramento e nessun controllo medico. Per questo in tanti sono morti subito. Un ragazzo che conoscevo è morto dopo tre giorni. Era tutto improvvisato.

Che compiti ha la Procura ora in Ucraina in tempo di guerra? 

Sta facendo un elenco dei crimini di guerra: stanno segnando le persone morte, ma anche i monumenti abbattuti e altri reati collegati ai bombardamenti. L'obiettivo è che una volta finita la guerra si possa fare un processo, come è stato quello di Norimberga per la Seconda Guerra Mondiale, contro i russi. La speranza è che vengano processati per i crimini di guerra.

Chi sta combattendo ora? 

I ragazzi che sono sopravvissuti. All'inizio della guerra però tutti avevano un forte senso di patriottismo tanto che c'era chi si sdraiava davanti ai carri armati, impugnava le armi e difendeva le città. Sul confine c'erano i soldati addestrati, ma in città no. La battaglia è sempre stata tra un ragazzo ucraino contro missili e droni. Quest'ultimi sono micidiali perché dal drone partono mille schegge che uccidono senza che tu ne accorga. Ora tanti giovani sono morti e alle armi stanno chiamando persone sempre più vecchie. Non solo: da un po' si sta parlando di far combattere anche le donne.

Se tu tornassi in Ucraina rischieresti di andare a combattere?

Sì, è per questo che non sono mai tornata. Lì le leggi cambiano di continuo, rischierei di non poter più tornare in Italia e di restare in Ucraina a combattere. Questo vuol dire però che da tre anni non vedo mio padre, come tutti gli altri uomini non può lasciare il Paese. Mentre mia madre riesce ancora a viaggiare tra Ucraina e Italia.

Oggi c'è ancora patriottismo? 

No. O meglio, i soldati che sono nei punti di fuoco si aggrappano ancora al patriottismo per resistere. Non hai alternative quando non vedi il senso della tua giornata. Chi è in città non crede più a nulla. Sono tutti stanchi.

Com'è la situazione oggi? 

Oggi ci sono meno aerei russi che sorvolano la città, ma ci sono sempre i droni che fanno paura.

Quando è scoppiata la guerra hai scelto di venire in Italia per permettere al tuo bambino di curarsi meglio e non lasciarlo sotto le bombe. Questa decisione però ti è costata il lavoro. 

Non potrò più essere un magistrato. Ho studiato tanto per avere la mia carriera, ma mio figlio è più importante. Certo è che questa guerra mi ha tolto tanto. Ero qualcuno in Ucraina, ce l'avevo fatta. Ero già arrivata. Ora in Italia non sono nessuno. Spero di ripartire dall'Italia con un nuovo lavoro.

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