La lotta alla violenza di genere passa dalla prevenzione: “Saper ascoltare le vittime e agire con rapidità”
Secondo l'Osservatorio nazionale femminicidi dell'associazione Non Una Di Meno, sono già 25 le donne uccise da uomini, fidanzati, mariti, figli, dall'inizio del 2024. Quello della violenza di genere, di cui il femminicidio è la punta dell'iceberg, è un problema diffuso in maniera capillare e radicata in ogni contesto.
Fanpage.it ha affrontato l'argomento con il giudice Valerio de Gioia, consigliere della Corte d'Appello di Roma e consulente giuridico della Commissione di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere, anche per riflettere su quali sono i problemi di un sistema che spesso rischia di lasciare sole le vittime.
"Parliamo davvero di numeri troppo alti, non solo dei femminicidi, ma anche delle violenze e dei maltrattamenti in famiglia. Però diciamo che ci sono stati anche importanti interventi legislativi recenti", spiega.
Il percorso dell'Italia nel contrasto alla violenza di genere è stato lungo e faticoso, come ricorda de Gioia. Solo negli anni '80 lo Stato ha abolito lo sconto di pena per il cosiddetto ‘delitto d'onore‘: "Fino a poco tempo fa, se un uomo uccideva la moglie o la sorella per motivi legati alla gelosia o, appunto, all'onore era prevista una pena bassissima". Mentre soltanto nel 1996 il reato di violenza sessuale si è trasformato da ‘reato contro la morale' a ‘reato contro la persona'.
"C'è stata un'evoluzione legislativa, ma la vera svolta è arrivata nel 2019 con il Codice Rosso, – prosegue il giudice – anche se si è trattato di un'iniziativa imposta per l'adesione dell'Italia alla Convenzione di Istanbul (ratificata nel 2013), visto che siamo stati in qualche modo ‘costretti' a modificare il nostro sistema normativo con l'introduzione di nuove fattispecie di reato. Bisogna considerare che fino al 2009 il reato di atti persecutori non esisteva perché quelle condotte erano considerate reato minore, che prevedeva pene bassissime e nemmeno l'adozione di misure cautelari".
"Bisogna saper ascoltare le vittime"
Infatti, secondo de Gioia, è importante agire sulla prevenzione delle violenze in maniera efficace: "Grazie agli ultimi interventi legislativi (legge Roccella, ndr) oggi se una persona è anche solo sospettata di commettere i cosiddetti ‘reati spia', si può intervenire con controllo da parte delle forze dell'ordine. E in questi casi si può applicare il braccialetto elettronico, mentre in passato veniva previsto solo per le misure cautelari, quelle adottate dal giudice dopo che il procedimento era iniziato.".
"Il grande problema però – aggiunge de Gioia – è che le misure cautelari, vanno applicate più spesso, se ci sono i presupposti per farlo. Io sono un garantista, ma quando si sente la notizia che un uomo ha ucciso una donna pure in presenza del divieto di avvicinamento, vuol dire che in quel caso qualcuno ha sbagliato. Per questo intendo che dobbiamo proprio cambiare l'approccio culturale".
"Bisogna avere un'attenzione enorme nel raccogliere le denunce. Le vittime spesso si vergognano a parlare di quello che gli accade, hanno sfiducia nelle istituzioni e non sempre riconoscono le violenze. Può capitare, per esempio, che una moglie non pensi che la pretesa del marito di avere rapporti sessuali sia in tutto e per tutto da considerare una violenza sessuale. Si tratta di un reato che prevede una pena da 6 a 20 anni. Ma una donna che denuncia bisogna saperla ascoltare e, se non sai fare le domande giuste, c'è il rischio che tutti questi aspetti non emergano", spiega il magistrato.
Affiancare ai giudici esperti qualificati
"La cosa ancora più assurda è che gli autori di questi reati, nella maggior parte dei casi, sono incensurati. A noi giudici spesso manca l'abilità nel contestualizzare e in questi casi dovremmo essere anche affiancati da esperti. Perché quello che a me può sembrare un incensurato e un santo, per una psicologa o psicologo che ha con questa persona dei colloqui, invece, può essere una situazione ‘critica'. Perché quindi non ipotizzare un ampliamento delle competenze di soggetti qualificati? Perché è facile poi dire, dopo uno di questi fatti, ‘lì c'erano tutti gli elementi'. Cerchiamo di capirlo prima e avere risultati concreti".
Il problema della violenza economica
"Abbiamo anche un problema enorme di violenza economica: molte donne in Italia non lavorano e tante non hanno nemmeno un conto corrente intestato a loro. – osserva ancora de Gioia – Come si fa a dire a una vittima di violenza che non lavora: "Denuncialo"? Se lo fa, rimane senza niente. E magari deve anche lasciare la casa per andare in comunità protetta. Per questo dovremmo potenziare le misure, non solo il reddito di libertà o l'assegno di inclusione, ma anche quelle che permettono di reinserirle nel mondo del lavoro.
Come spiega il giudice, tra le paure delle donne c'è anche quella di perdere i figli perché non hanno la possibilità di mantenerli. Tra le battaglie della nuova Commissione bicamerale contro il femminicidio, presieduta dall'onorevole Semenzato, oltre alla redazione di un Testo unico sulla violenza di genere e a interventi educativi istituzionalizzati, c'è quella del contrasto alla dipendenza economica. "Perché – precisa de Gioia – è davvero molto importante rimanere indipendenti".
L'importanza della rapidità
Il giudice de Gioia sottolinea come sia importante intervenire con rapidità: "Una volta che vengono colti i segnali d'allarme bisogna essere velocissimi a comunicarli al pubblico ministero che, altrettanto rapidamente, deve richiedere una misura cautelare a un giudice altrettanto preparato e con la stessa sensibilità"
"Proprio su questo bisogna lavorare, perché nel periodo che va dalla denuncia all'azione della magistratura (circa tre giorni, ndr) la donna è potenzialmente a rischio e chi viene denunciato può arrivare a gesti estremi. In alcuni casi c'è stata una tendenza generalizzata alla sottovalutazione, bisogna lavorare su una cultura diversa e una maggiore sensibilizzazione".