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“La lingua si deve adattare al cambiamento: vi spiego perché Demi Lovato ha ragione”

Le parole di Demi Lovato, che ha chiesto di essere chiamata con i pronomi they/them, hanno scatenato una forte ondata di polemiche. Fanpage.it ha intervistato Vera Gheno, sociolinguista, accademica e saggista italiana, che ha spiegato perché la cantante ha ragione e per quale motivo è necessario accogliere i cambiamenti sociali in atto. Anche dal punto di vista del linguaggio.
A cura di Natascia Grbic
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"Il dileggio e le prese in giro nei confronti di Demi Lovato e di tutte le persone che fanno coming out, derivano da una grande ignoranza. Soprattutto in Italia abbiamo ancora una visione binaria dei sessi, per cui si pensa solo al sesso biologico, maschile o femminile. L'idea del genere come costrutto sociale non è ancora attecchita, se non in contesti specifici. Bisogna poi partire dal presupposto che la lingua serve alla comunità dei parlanti per uno scopo: fare cose nella quotidianità. Non sono gli esseri umani che si adattano alla lingua quindi, ma il contrario. E al cambiare delle esigenze muta anche la lingua". A parlare a Fanpage.it è Vera Gheno, sociolinguista, accademica e saggista italiana. L'argomento è uno dei più discussi delle ultime ore: il coming out della cantante Demi Lovato e la richiesta di essere chiamata con i pronomi they/them, che in italiano sono stati tradotti con ‘loro'. Questo ha scatenato una serie di commenti denigratori nei confronti dell'artista statunitense e una pronta levata di scudi ‘in difesa della lingua italiana'. "Le prese in giro – continua Gheno – sono un segno di grande arretratezza. Bisogna rendersi conto che anche le persone non binarie hanno diritto a esprimersi, ad avere una voce all'interno della società e una lingua che le rappresenti". C'è poi un'altra questione, non di secondaria importanza: "In inglese il ‘they' per le persone non binarie è la norma, è un uso antico che si usa per le persone di cui non si conosce il genere. Non si può tradurre con ‘loro', avrebbero dovuto lasciare they/them. Per ora in Italia non abbiamo un termine similare".

Una lingua che mette al centro l'uomo

Una lingua, quella italiana, androcentrica e costruita a misura d'uomo. Non è un caso che quando le donne, ad esempio, rivendicano il diritto di declinare la loro professione al femminile, si scatena un putiferio di dimensioni bibliche. Un episodio esemplificativo è quanto accaduto a Sanremo, quando la direttrice d'orchestra di fama internazionale Beatrice Venezi ha chiesto di essere chiamata ‘direttore'. "Le radici delle parole italiane sono maschili, perché se guardiamo alla storia dell'umanità al centro c'è sempre stato il maschio, mentre la donna è collaterale – spiega la sociolinguista – È difficile che un uomo si renda conto del privilegio linguistico perché la lingua è fatta a sua misura, e quando si accumulano altre misure rispetto alla norma, ecco che sorgono i problemi. Chi appartiene alle categorie maggioritarie non si rende conto che chi è divergente non è rappresentato. E così gli uomini, ad esempio, dicono che non vedono il problema e conta solo la bravura, ma chi è al centro della lingua non capisce che usare il termine ‘ministro' anche per le donne vuol dire che queste sono un eccezione in quel contesto. Lo stesso ragionamento non viene invece fatto per maestro e maestra, perché lì le donne sono la normalità".

"In corso un cambiamento che riguarda anche la lingua"

Negli ultimi tempi il dibattito su un linguaggio inclusivo e rispettoso delle differenze di genere è al centro dell'attenzione. L'uso dell'asterisco, della schwa o del femminile universale in contesti anche istituzionali, dimostra che è in corso un cambiamento non solo a livello di lingua, ma anche societario. "In questo momento storico siamo davanti a cambiamenti inediti – conclude Vera Gheno – Prima non ci si era mai posti il problema di rappresentare anche le persone non binarie, oppure le persone trans che non completano la transizione. Non sappiamo quello che succederà a livello linguistico. Potrebbe accadere di tutto, dipende da dove andranno le esigenze delle persone. E tra dieci anni potrebbero esserci grossi cambiamenti nella comunità dei parlanti. Quelli che vediamo in corso ora sono tutti esperimenti, quindi la rabbia o il fastidio delle persone – che non sono direttamente toccate dalla questione – sono mal riposte. Nessuno può cambiare dall'alto una lingua, è la comunità che esprime un'esigenza e vuole trovare una soluzione. Chi ha una reazione avversa crede ci sia un obbligo e che già da domani si useranno nuove forme lessicali. Non è ovviamente così, bisogna prendere le cose per quello che sono, ossia esperimenti".

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