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La libertà di parola non c’entra niente: basta disinformazione sui vaccini in tv

Red Ronnie ed Eleonora Brigliadori hanno parlato di vaccini durante l’ultima puntata di Virus, in onda su Rai 2 lo scorso giovedì. I vaccini fanno male, provocano autismo, le big pharma guadagnano dalle malattie e luoghi comuni di ogni tipo. Ognuno ha diritto a esprimere la propria opinione, si dirà. No, la libertà di parola ha un limite: quello della responsabilità delle proprie azioni.
A cura di Charlotte Matteini
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Red Ronnie ed Eleonora Brigliadori ospiti in uno studio televisivo, in prima serata, per parlare di vaccini. E' accaduto a Virus, durante la puntata andata in onda giovedì scorso. Assieme a loro, era stato invitato anche il medico immunologo Roberto Burioni, in collegamento, il quale però non ha purtroppo avuto lo stesso spazio riservato alle teorie antiscientifiche propagandate dall'ex deejay e dall'ex soubrette, privi di qualsivoglia competenza in materia.

Secondo Red Ronnie, vaccinare i bambini sarebbe pericoloso e obbligare le famiglie a farlo sarebbe "una follia". E poi, ancora: la chemioterapia non salva dal cancro, ma uccide. Parola di Eleonora Brigliadori. Dall'episodio, è nata un'accesa polemica: da una parte i fautori della libertà di espressione a ogni costo sostengono che zittire Red Ronnie e la Brigliadori sarebbe antidemocratico e al limite della censura, dall'altra i razionalisti che sostengono che la scienza possa essere posta in contraddittorio solo se esistono sufficienti prove scientifiche a sostegno di nuove ipotesi e tesi.

Io mi pongo al fianco dei razionalisti. La scienza non è democratica, non ammette opinioni che non siano corroborate da precisi dati a sostegno. Non ammette l'esistenza del "ma io la penso così", del "secondo me". Le teorie nel tempo cambiano ed evolvono, ma evolvono grazie allo studio e alla ricerca scientifica, non di certo grazie a qualche personaggio laureato in youtubologia. Pur nutrendo una sincera devozione per gli ideali liberali e verso tutto ciò che concerne la sfera della libertà in ogni sua sfaccettatura, trovo che la libertà di pensiero e di espressione non possano prescindere da quella che Primo Levi definì "responsabilità di parola". Un essere razionale, quale dovrebbe essere l'uomo inteso come appartenente al genere umano, sa che a ogni propria azione, corrisponde una reazione. Sostenere che chiunque abbia il diritto di propagandare astruse teorie antiscientifiche, servendosi addirittura del mezzo televisivo, senza che queste vengano per giunta adeguatamente confutate da chi è esperto nel campo e da molti anni si occupa della materia oggetto di scontro, non rende di certo un buon servizio alla causa liberale. La libertà presuppone responsabilità delle proprie azioni.

Tra quel milione e mezzo di spettatori che giovedì sera ha seguito il "dibattito" scaturito durante la trasmissione condotta da Nicola Porro, avrebbero potuto esserci anche persone altamente influenzabili che, a causa della scarsa conoscenza della materia o a causa di una personalità facilmente plagiabile, sentendo le testimonianza dell'ex dj o del padre del bambino vaccinato che racconta del presunto autismo scatenato dal vaccino esavalente, avrebbero potuto finire per credere a teorie totalmente prive di fondamento e agire di conseguenza, rifiutando magari un giorno di vaccinare i propri figli e mettendo a rischio non solo la loro salute, ma anche quella di chi starà loro intorno. Quando si conduce un trasmissione televisiva che potenzialmente può arrivare nelle case di milioni di italiani, si dovrebbe tenere conto anche di questo aspetto.

Durante la trasmissione, per esempio, il messaggio che è passato, a causa dell'ampio spazio lasciato ai fautori della medicina alternativa e alla testimonianza del genitore del bambino autistico invitato da Nicola Porro, è che possa esserci un fondo di verità nelle teorie che sostengono l'esistenza di un legame tra vaccinazioni e autismo. Un legame che invece non solo non è mai stato scientificamente provato, ma al contrario è frutto di una frode commessa molti anni fa da un medico britannico, tal Andrew Wakefield, successivamente radiato dall'albo, che verso la fine degli anni '90 confezionò uno studio a sostegno di questa ipotesi, che si scoprì poi essere stato completamente falsificato. L'eco prodotta inizialmente dalla scoperta di Wakefield determinò, nei primi anni 2000, un drastico calo delle coperture vaccinali in Inghilterra, arrivando a compromettere in numerose aree il raggiungimento di un'adeguata copertura immunologica e il conseguente aumento dell'incidenza del morbillo e delle sue complicanze.

Proprio perché su internet ancora girano le teorie di Wakefield, teorie che molti credono avere ancora un qualche fondamento scientifico, invitare un ex deejay e un'ex soubrette a discutere di scienza e vaccini in televisione, dando spazio a opinioni che definire ridicole e pericolose sarebbe un complimento, è da irresponsabili. Per un pugno di share in più, si preferisce offendere l'intelligenza dei propri telespettatori e concedere spazio a personaggi che nulla hanno da insegnare al pubblico, a scapito della corretta informazione, che dovrebbe invece costituire la principale mission per un giornalista, ancor di più se il giornalista in questione lavora in una trasmissione del servizio pubblico.

Il feticcio del contraddittorio a tutti i costi ci ha portato a pensare che qualunque idea non solo debba essere espressa, ma debba inoltre ottenere adeguato spazio sui media per essere diffusa. A chi sostiene che il non concederlo potrebbe in qualche modo costituire una lesione del diritto alla libertà di espressione o un atto di censura, rispondo con una citazione della scrittrice e filosofa libertaria statunitense Ayn Rand: "Il diritto alla libertà di parola significa che un uomo ha il diritto a esprimere le proprie idee senza temere il pericolo della soppressione, dell'interferenza o di azioni punitive da parte dello Stato, ma non significa che altri debbano fornirgli una sala per conferenze, una stazione radiofonica o una tipografia per esprimere tali idee".

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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