La latitanza di Messina Denaro passava anche dai social: online era il medico di Milano Francesco Averna
Nonostante la latitanza trentennale, Matteo Messina Denaro non si è mai privato della libertà personale o della possibilità di uscire di casa nella sua Sicilia, lì dove era stato certamente molto conosciuto. Il boss di Cosa Nostra, secondo quanto recentemente emerso, non si è neppure mai privato neppure dei social network, sui quali presenziava con un nome falso, l'ennesimo.
Francesco Averna, così si chiamava il suo alterego social, era un medico con 60 follower e nessuna foto personale. Al posto del suo viso, Averna aveva come foto del profilo quella di un cagnolino. Tra i suoi amici social, appaiono diversi commercianti di Campobello di Mazara.
Un giovane che lavora in una pizzeria del centro, scrive Repubblica, ha ammesso di averlo visto spesso ordinare pizza e bibite ma di non aver mai immaginato che proprio quello potesse essere il boss di Cosa Nostra. Il titolare di un altro negozio di abbigliamento, invece, ha negato di averlo mai visto, anche se risulta tra i follower dell'inesistente dottor Francesco Averna.
Per Instagram, Matteo Messina Denaro era un medico laureato all'Università Bocconi di Milano. Con lo stesso nome si presentava anche su Facebook, dove il superlatitante aveva solo 5 amici: quattro donne, di cui tre di Mazara, dove viveva, e il negozio di abbigliamento di Partanna.
Le indagini condotte dal procuratore Maurizio de Lucia e dall'aggiunto Paolo Guido vanno però ben oltre i social: lo scopo è infatti quello di ricostruire la latitanza trentennale del boss per capire quali luoghi frequentasse e se continuasse a viaggiare anche all'estero. Tutto per far crollare la rete che ha permesso a Messina Denaro di nascondersi alla luce del sole per 30 anni, viaggiando tranquillamente da Campobello di Mazara a Palermo. L'indagine ha già portato in carcere 14 persone, tra le quali anche la sorella Rosalia.
Con la stessa identità usata sui social network, Messina Denaro si presentò anche al tecnico della lavastoviglie che riparò per lui l'elettrodomestico nella casa di via San Giovanni, a Campobello. Secondo l'operaio, infatti, fu Andrea Bonafede a chiamarlo per chiedergli "un intervento a casa del cugino". E nella casa di via San Giovanni, il boss latitante si era presentato come Francesco Averna, medico laureato a Milano e residente in Sicilia.
Secondo gli inquirenti, nome e cognome usato sui social erano del tutto inventati e non erano parte di un'identità ottenuta da un prestanome. Bonafede invece è stato già condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione per aver dato al boss la propria identità e per favoreggiamento. Per i pubblici ministeri Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, però, la condanna dovrebbe essere più pesante con un capo d'accusa per associazione mafiosa.
Fra le nuove carte depositate c'è anche una nota del Ros che racconta di Francesco Averna e della vita palermitana del latitante con Bonafede già nel 2012. I due infatti andavano a fare la spesa in una rinomata gastronomia di via Daita, a due passi dal Teatro Politeama, alla luce del giorno. I sotterfugi portati avanti con tanta spavalderia erano stati quasi motivo di vanto per Messina Denaro durante gli interrogatori in carcere dopo l'arresto del 16 gennaio.
“Io telefonini non ne ho mai avuti – aveva raccontato – perché sapevo che appena mi mettevo con la modernità, andavo a sbattere”. "La nostra generazione non è che aveva il telefonino da giovane, quindi sapevamo come vivere anche senza”. Nonostante le sue dichiarazioni, però, il boss fu fermato con ben due telefoni il giorno dell'arresto.
“Era solo per necessità che li avevo, dopo la scoperta del tumore frequentavo ospedali e cliniche e ogni volta mi chiedevano un numero per eventuali comunicazioni”. L'analisi dello smartphone, però, racconterebbe la sua fitta vita sui social ora oggetto di un'indagine delicata. Il boss di Cosa Nostra, infatti, non metteva post pubblici ma era solito usare la messaggistica privata.
Le ricerche di Messina Denaro avevano infatti già toccato i social, in particolare Facebook, dove nel 2013 si sospettava che potesse comunicare con la sorella Anna Patrizia. La donna aveva scelto il nome di un'imperatrice romana per il suo account, Lucilla. Poco prima dell'arresto, aveva cancellato questo e altri profili di sua proprietà, compresi i messaggi della posta privata.