«Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo». Immagino questa frase, nero su bianco nelle tracce degli esami di maturità 2015, letta ad alta voce a scuola. Letta in quelle zone d'Italia in cui la maggior parte degli studenti considera – perché a casa così gli hanno spiegato che deve fare – gli immigrati un danno, un peso, una diversità in peggio. Immagino quei ragazzi che scelgono la traccia, la sviluppano e magnificano questo gigantesco esempio bambino, Malala, che ha messo a rischio la propria vita per rivendicare il diritto all'educazione anche per le bambine. Poi tornano a casa e maledicono il nordafricano sul bus, il pakistano in fila al supermercato, il cinese col negozio sotto casa. E lo maledicono perché hanno sentito il papà e la mamma farlo. O perché hanno sentito quello con la felpa che cambia ogni santo giorno «ruspa» e «a casa i clandestini».
E non ripetete solo la bella frase a cantilena. E guardatela, la faccia di Malala Yousafzai. È uguale a quella dei nostri migranti, arrivati dal mare rischiando la vita, in fuga dalla loro terra, respinti dal resto del mondo. Sa di privazione e di speranza. Sa di voglia di pace, di nient'altro.
Penso che a questo giro sono solo i ragazzi a dover imparare qualcosa dalle prove degli esami di maturità. Spero che qualche genitore imbecille, quando oggi il figlio o la figlia tornerà a casa e dirà: «Sai papà, ho fatto il tema su Malala» non risponderà «Beh, aiutamoli a casa loro».